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Per la stagione 2008/2009 sono operanti due Comitati Consultivi IN ...

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dell’omicidio del giornalista Pecorelli è stato prosciolto in<br />

Cassazione. Sul<strong>la</strong> sua figura, accanto a una montagna di<br />

carte processuali che solo il suo avvocato Giulia<br />

Bongiorno si vanta di aver sca<strong>la</strong>to, esiste ormai un’ abbondante<br />

bibliografia pro e soprattutto contro. Da vari decenni<br />

il personaggio è considerato onnipotente, intoccabile e<br />

pressoché inconoscibile. Ha fatto buona impressione il<br />

coraggio da lui dimostrato affrontando nei tribunali di<br />

<strong>Per</strong>ugia e Palermo le infamanti accuse piovutegli addosso,<br />

evitando a differenza di altri di fuggire all’estero o di sollecitare<br />

leggi a proprio favore. Le sue battute rappresentano<br />

una gran riserva del folklore giornalistico; e i libri che<br />

pubblica di continuo ne fanno il solo politico italiano che<br />

potrebbe vivere con i diritti d’autore. Siamo evidentemente<br />

di fronte a una figura troppo complessa per venire giudicata<br />

in base a un film. Di “Il divo” è meglio quindi par<strong>la</strong>re<br />

come di una favo<strong>la</strong> un po’ nera, nel<strong>la</strong> fosca ammirevole<br />

fotografia di Luca Bigazzi, o meglio grigia: ma di un<br />

grigio assunto a ve<strong>la</strong>me dell’ambiguità. E’ così che hanno<br />

visto, amato e premiato <strong>la</strong> pellico<strong>la</strong> di Paolo Sorrentino gli<br />

stranieri a Cannes, senza sapere niente di Andreotti. “Il<br />

divo” è un titolo brechtiano, da leggere al<strong>la</strong> rovescia.<br />

Anche se è chiamato in tal modo per assonanza con ‘il<br />

divo Giulio (Cesare)’ non c’ è niente di divistico nell’immagine<br />

e nei comportamenti di un anti-divo per eccellenza.<br />

Tale lo impersona, <strong>la</strong>vorando di fantasia su spunti colti<br />

qua e là, il talentoso Toni Servillo, intonandosi al progetto<br />

di un film che vuol essere un ritratto piuttosto che un<br />

racconto. E magari un ritratto come quello di Churchill<br />

eseguito da Bacon, che <strong>la</strong> vedova irritata condannò al<br />

rogo. Nerovestito, curvo, impassibile, <strong>la</strong>conico, con le<br />

braccia in grembo o dietro <strong>la</strong> schiena, protetto dietro gli<br />

occhiali da una maschera di estraneità al limite del disgusto,<br />

indifferente al gran carnevale delle maschere intorno<br />

a lui. Se negli atteggiamenti in cui coglie il suo antieroe<br />

Sorrentino è acre ma rispettoso, non lo è altrettanto per<br />

quanto riguarda il contesto. Il coro dei cortigiani, tutti con<br />

nomi e cognomi veri, si direbbero caricature di Giannelli<br />

rimbalzate vive dal<strong>la</strong> pagina grazie all’arcivernice di<br />

Lambicchi. Gli interpreti che sfruttano le occasioni più<br />

ridanciane <strong>sono</strong> Carlo Buccirosso (Pomicino), F<strong>la</strong>vio<br />

Bucci (Evangelisti) e Massimo Popolizio (Sbardel<strong>la</strong>).<br />

Fanno da contrappeso <strong>due</strong> aggraziate figure femminili,<br />

Anna Bonaiuto (<strong>la</strong> moglie Livia) e Piera Degli Esposti<br />

(Enea, <strong>la</strong> segretaria). Giulio Bosetti è uno Scalfari da confondere<br />

con quello vero. Credo poi di aver riconosciuto l’<br />

impeccabile Pietro Biondi che rende a Cossiga un buon<br />

servizio soprattutto fungendo da spal<strong>la</strong> nel <strong>due</strong>tto in cui il<br />

marpionesco Giulio, con l’ aria di confidare un segreto di<br />

stato, confessa il suo innamoramento giovanile per Mary<br />

Gassman sorel<strong>la</strong> di Vittorio. Lungi dall’essere grato per il<br />

bonario trattamento, l’ex-presidente ha <strong>la</strong>nciato contro<br />

Sorrentino l’epiteto di ‘registucolo’. Avrà voluto mettere<br />

le mani avanti di fronte all’ eventualità che a “Il divo”<br />

possa far seguito Il picconatore? In tal caso può starsene<br />

tranquillo. <strong>Per</strong>ché di Giulio Andreotti, <strong>la</strong> talpa politica che<br />

pur continuando a scavare i suoi cunicoli nel<strong>la</strong> realtà è<br />

riuscito ad abitare <strong>la</strong> favo<strong>la</strong>, ne esiste soltanto uno.<br />

Il Giornale - Stenio Solinas - 23/05/<strong>2008</strong><br />

Quando sullo schermo appare La Sfinge, ovvero Belzebù,<br />

La Volpe, Il Gobbo, La Sa<strong>la</strong>mandra, Il Papa Nero, Il Divo<br />

Giulio e insomma Andreotti, si capisce subito che non staccheremo<br />

più gli occhi. Non importa che non sia quello<br />

vero, ma ci <strong>sono</strong> le sue grandi orecchie, le <strong>la</strong>bbra sottili, i<br />

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capelli fissati con <strong>la</strong> bril<strong>la</strong>ntina, affinché restino sempre<br />

ordinati, perché mai lui è stato disordinato nel<strong>la</strong> vita, perché<br />

mai avrebbe voluto che <strong>la</strong> vita fosse, per lui, fonte di<br />

disordine. L’unica volta che è successo, <strong>la</strong> Mafia e tutto il<br />

resto, ha faticato a ‘pettinar<strong>la</strong>’ di nuovo come un tempo: ci<br />

è riuscito, ma ormai l’incantesimo si era rotto e niente<br />

sarebbe più stato come prima…Ecco <strong>la</strong> sua camminata, le<br />

spalle strette, il muoversi felpato eppure a scatti. Ecco le<br />

sue frasi celebri: ‘E’ meglio tirare a campare che tirare le<br />

cuoia’, ‘Dio ha detto di rispondere alle offese porgendo<br />

l’altra guancia, ma intelligentemente ce ne ha date solo<br />

<strong>due</strong>’, ‘intellettualmente par<strong>la</strong>ndo, mi considero di statura<br />

media, ma se mi guardo intorno non è che veda molti<br />

giganti’… Qualche mese fa, intervistando Toni Servillo ed<br />

avendogli chiesto qualcosa su quello che era ancora un film<br />

in <strong>la</strong>vorazione e ora è questo “Il Divo”, presentato ieri sera<br />

qui in concorso, mi ero sentito rispondere che no, non<br />

aveva mai incontrato Andreotti prima di allora e non lo<br />

avrebbe incontrato, almeno sino all’uscita del film, e ancora<br />

che no, non lo aveva studiato attraverso riprese e filmati.<br />

‘Non credo all’imitazione in quanto tale’, mi aveva detto<br />

allora. Visti i risultati, aveva ragione, perché qui c’è un<br />

Andreotti, come dire, dell’anima, una sorta di quintessenza,<br />

e non importa tanto, che sia quello vero, che corrisponda<br />

al<strong>la</strong> realtà, è sufficiente che esso sia tutt’uno con l’immagine<br />

che in mezzo secolo di storia patria si è incisa nel<strong>la</strong><br />

nostra mente, l’immagine di un potere inafferrabile e astuto,<br />

silenzioso e spregiudicato, moralmente cinico, ovvero<br />

con un’etica partico<strong>la</strong>re in cui si mischia lo spirito di una<br />

romanità popo<strong>la</strong>re e clericale, <strong>la</strong> consapevolezza che siamo<br />

tutti peccatori e che quindi non ci si deve meravigliare di<br />

nul<strong>la</strong>... Sullo schermo, in un film che è febbrile nel ritmo,<br />

iperrealista nelle descrizioni e negli ammazzamenti quanto<br />

spesso caricaturale nei personaggi, c’è anche il suo c<strong>la</strong>n,<br />

che non è mai stato una corrente di partito tradizionale, ma<br />

un campionario italiano, cioè un ‘bestiario’: Lo Squalo e il<br />

Ciarra, ‘O Ministro e Il Limone, Sua Santità e Sua<br />

Eccellenza, anche loro emblemi, perché poi tutto “Il Divo”<br />

è un’allegoria, anche feroce, sul potere, <strong>la</strong> sua gestione e <strong>la</strong><br />

sua mancanza, <strong>la</strong> solitudine che lo accompagna. ‘Il mio<br />

film preferito è Il dottor Jekill e Mister Hyde’. Se questa<br />

frase di Andreotti è vera - non nel senso che non l’abbia<br />

mai pronunciata, ma nel suo crederci veramente -, “Il<br />

Divo” ne è in fondo l’illustrazione più completa. Così come<br />

negli altri suoi film Sorrentino era riuscito a costruire un’estetica<br />

del brutto capace di dargli una propria <strong>la</strong>ncinante<br />

bellezza, qui è <strong>la</strong> politica a caricarsi di un fascino diabolico<br />

formale che nel<strong>la</strong> realtà invece non possiede. Allo stesso<br />

modo, forse, quel<strong>la</strong> sublimazione e quintessenza di cui si<br />

par<strong>la</strong>va prima, dà in fondo all’Andreotti cinematografico<br />

una grandezza, un’ambiguità sovrumana, che quello reale<br />

non ha mai posseduto. A fronte di una letteratura sterminata,<br />

il regista ha privilegiato come linea interpretativa del<br />

personaggio <strong>due</strong> giudizi, entrambi frutto di una psicologia<br />

femminile, per quanto partico<strong>la</strong>re. Uno è dell’ex premier<br />

britannico Margaret Thatcher: ‘Mi è sempre sembrato contrario<br />

a ogni principio etico, addirittura convinto che chi li<br />

possedesse fosse condannato a essere ridicolo’. L’altro<br />

del<strong>la</strong> scrittrice Oriana Fal<strong>la</strong>ci: ‘Mi fa paura proprio per <strong>la</strong><br />

sua gentilezza. <strong>Per</strong>ché il vero potere ci strango<strong>la</strong> con sciarpe<br />

di seta, con cortesia e intelligenza’. Pur non avendo fatto<br />

nul<strong>la</strong> per contrastare il film, Andreotti, che lo ha visto in<br />

anteprima privata ha fatto sapere di non riconoscersi in esso<br />

e di considerarlo ingiusto nei sui confronti. Non ha tutti i<br />

torti, perché Sorrentino esaspera gli elementi negativi, li

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