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Per la stagione 2008/2009 sono operanti due Comitati Consultivi IN ...

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da una parte il pittoresco matrimonio di rito afghano,<br />

dall’altra l’atroce <strong>la</strong>pidazione di <strong>due</strong> adulteri durante<br />

una partita di calcio a Kabul. Pur di varia provenienza<br />

etnica gli interpreti <strong>sono</strong> adeguati, ma fra tutti<br />

spicca Homayoun Ershadi (Baba), che viene da “Il<br />

sapore del<strong>la</strong> ciliegia” di Kiarostami. Poco convincente<br />

nelle vicissitudini rocambolesche dell’ultimo quarto<br />

d’ora, questa diligente trascrizione letteraria di<br />

Marc Foster (un regista che ai tempi di “Monster’s<br />

Ball” sembrava avviato a migliori destini) avrebbe<br />

guadagnato da un uso più parsimonioso del<strong>la</strong> musica<br />

invadente di Alberto Iglesias.<br />

La Stampa - Alessandra Levantesi - 28/03/<strong>2008</strong><br />

Una chiamata da Peshawar sprofonda nei ricordi il<br />

giovane scrittore afghano Amir, fuggito in America<br />

all’arrivo dei russi, ed è nel<strong>la</strong> Kabul del ‘75 che si<br />

avvia in f<strong>la</strong>shback <strong>la</strong> vicenda di “Il cacciatore di aquiloni”.<br />

Raccontando il rapporto che lega l’allora dodicenne<br />

protagonista a Hassan, figlio di un servitore e<br />

suo inseparabile compagno di giochi: un vincolo fraterno<br />

sul quale però si riverberano le ambiguità di<br />

Amir e le ribollenti contraddizioni (Hassan appartiene<br />

all’etnia hazara disprezzata dal<strong>la</strong> maggioranza<br />

pashthun) di un paese dove i fanatici già si fanno sentire.<br />

Diretto da Marc Forster in spirito di fedeltà al bestseller<br />

di Khaled Hosseim (Piemme), il film rievoca<br />

con sensibilità i giorni (quasi) spensierati di un’amicizia<br />

infantile traumaticamente spezzata. E se l’avventuroso<br />

rientro in patria, che riscatta Amir adulto<br />

delle colpe passate, non è altrettanto convincente,<br />

restano forti <strong>la</strong> bel<strong>la</strong> immagine paterna incarnata da<br />

Homayoun Ershadi; e lo svo<strong>la</strong>zzare libero e colorato<br />

degli aquiloni in gara sui tetti di una suggestiva<br />

Kabul (ritagliata in Cina), com’era prima dell’invasione<br />

sovietica, dell’avvento dei talebani e dell’attuale<br />

caos.<br />

Il Foglio - Mariarosa Mancuso - 29/03/<strong>2008</strong><br />

Non si vendono 8 milioni di copie nel mondo (2 soltanto<br />

in Italia, patria dei non lettori, <strong>la</strong> proporzione è<br />

interessante e andrebbe indagata) senza qualcosa di<br />

forte che scateni il passaparo<strong>la</strong>. ‘Il cacciatore di aquiloni’<br />

aveva tutto e anche di più: un’amicizia infantile<br />

avvelenata dal<strong>la</strong> gelosia, il senso di colpa e l’espiazione,<br />

il destino che si allea con <strong>la</strong> storia per far più<br />

danni, il figlio del servo e il figlio del padrone, l’ambientazione<br />

afgana (in <strong>due</strong> tempi: prima dell’invasione<br />

sovietica e sotto i talebani, con tappa nel<strong>la</strong><br />

California degli emigrati), le etnie rivali, <strong>la</strong> fedeltà e<br />

<strong>la</strong> codardia, un intreccio romanzesco da non sve<strong>la</strong>re a<br />

chi non ha ancora letto il libro o vedrà il film, un incipit<br />

a presa rapida: ‘Sono diventato <strong>la</strong> persona che<br />

<strong>sono</strong> ora a dodici anni’. Su tutto, le gare di aquiloni<br />

79<br />

nel cielo di Kabul, quando ancora gli abitanti sperimentavano<br />

<strong>la</strong> dolcezza del vivere. Si vincono tagliando<br />

il filo degli aquiloni concorrenti: ancora non<br />

abbiamo capito come si fa, neanche guardando le<br />

molte scene aeree - e computerizzate - del film di<br />

Mark Forster. <strong>Per</strong> ricuperare i caduti entra in scena il<br />

cacciatore, che capisce dove tira il vento e dove l’aquilone<br />

atterrerà senza bisogno di guardare il cielo.<br />

Di etnia hazara (‘viso tondo come una bambo<strong>la</strong> cinese<br />

e occhi a mandor<strong>la</strong>’, scrive Khaled Hosseini nel<br />

libro) si chiama Hassan e fa le gare in coppia con<br />

Amir, che invece è pashtun come suo padre Baba,<br />

molto preoccupato perché il figliolo - e futuro scrittore<br />

- preferisce le storie alle risse. Il regista Mark<br />

Forster (“Monster Ball”, “Never<strong>la</strong>nd”) e lo sceneggiatore<br />

David Benioff (“Troy”, “La 25ª ora”) hanno<br />

rispettato il romanzo, evitato <strong>la</strong> voce fuori campo del<br />

narratore, compresso il ricco materiale in un intervallo<br />

di tempo ragionevole, fatto qualche taglio, ai personaggi<br />

e alle loro biografie (tra<strong>la</strong>sciando, per esempio,<br />

che il cattivo è figlio di madre tedesca e neonazi<br />

di ideologia). Ogni scena dura comunque un po’ più<br />

di quel che dovrebbe durare, al netto delle complicanze.<br />

Tra i meriti condivisi da libro e film, c’è una<br />

visione non buonista dell’infanzia, e una visione<br />

molto realistica dell’Afghanistan talebano, con pubbliche<br />

<strong>la</strong>pidazioni di adultere in burka. Va da sé che<br />

da quelle parti “Il cacciatore di aquiloni” è vietato, e<br />

<strong>la</strong> produzione ha fatto emigrare i <strong>due</strong> giovani e bravi<br />

attori negli Stati Uniti per non esporli a rappresaglie.<br />

Il Giornale di Brescia - Marco Bertoldi -<br />

30/03/<strong>2008</strong><br />

C’erano una volta gli aquiloni che vo<strong>la</strong>vano nel cielo<br />

sopra Kabul con i bambini che gareggiavano a fare<br />

andare più in alto il loro e a tagliare il sottile filo di<br />

quelli avversari. Poi però hanno smesso di librarsi<br />

nell’azzurro: <strong>sono</strong> arrivati gli invasori russi cacciati i<br />

quali è iniziata una guerriglia fratricida che ha portato<br />

al potere i Talebani con il loro integralismo religioso<br />

che ha fatto ca<strong>la</strong>re sul Paese una plumbea cortina<br />

di divieti e paura.A questa <strong>la</strong> splendida metafora<br />

al<strong>la</strong> radice de ‘Il cacciatore di aquiloni’, romanzo del<br />

medico afgano esule negli Usa Khaled Hosseini divenuto,<br />

grazie anche al passaparo<strong>la</strong> dei lettori, un best<br />

seller internazionale e in Italia pubblicato da<br />

Piemme. Un trionfo che ha indotto a farne un film firmato<br />

dal regista Marc Foster (“Monster’s ball”,<br />

“Never<strong>la</strong>nd”, “Vero come <strong>la</strong> finzione”; ora al <strong>la</strong>voro<br />

per il nuovo 007 ambientato anche sul Garda) e girata<br />

in Cina, nelle zone al confine con l’Afghanistan.<br />

L’abilità di Hosseini è narrare una vicenda tragica e<br />

crudele, non priva nemmeno di raccapriccio, di vite<br />

rovinate o addirittura spezzate sullo sfondo di 25 anni

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