Il segreto di Maria Maddalena

Nessuno parlava. Qualcuno pregava. Le donne piangevano. Da parte
mia, sentivo che avevo il diritto di fare molte domande e di avere altrettante
risposte. Mi appartai con Matteo, il pubblicano pentito, il
più colto della nostra piccola comunità. «Perché – gli chiesi – sembra
che il Maestro abbia quasi cercato la morte affrontando senza difendersi
nemici che avevano l’intenzione e il potere di condannarlo? Perché
non è fuggito?». «Il Maestro – mi rispose Matteo – sa, da sempre,
di avere un destino tragico inciso dentro di sé. Non poteva fuggire –
proseguì – perché giudicava che la sua missione non ammettesse la
paura di morire che (inevitabilmente) sentiva anche lui. In caso di
fuga, avrebbe tradito la sua predicazione basata in buona parte sulla
denuncia dei mali della casta sacerdotale che domina il popolo
d’Israele. Mi chiedo con grande angoscia – concluse – come potrà salvarsi
il gregge qualora il suo pastore fosse condannato a morte».
Pietro, a poca distanza da noi, sedeva compostamente, abbracciandosi
le ginocchia, con lo sguardo fisso nel vuoto. Forse pensava, con
grande preoccupazione, al ruolo che avrebbe dovuto giocare portando
il gregge del Maestro al pascolo. 38 Lui, che aveva rinnegato per tre
volte Gesù nel cortile della casa di Caifa.
Il sole cominciava lentamente a spuntare quando ci raggiunse Giuseppe
d’Arimatea che aveva assistito al colloquio fra Caifa e il Maestro.
Giuseppe si sedette appoggiando la schiena al tronco di un albero e ci
fissò pensieroso, quasi cercasse di riordinare correttamente tutto
quanto voleva dirci. Noi tutti ci eravamo raccolti attorno a lui e restavamo
in silenzio in attesa che ci rivelasse quanto era accaduto. «Non
vi porto buone notizie – iniziò dopo un sospiro che ci mise in agitazione
–. Il Maestro si è comportato con coraggio e con grande dignità,
ma ha offerto a Caifa valide ragioni per accusarlo addirittura di be-
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Capitolo XII