interpretazioni mitologiche di fenomeni naturali - Centro ...
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Il tra<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> Guglielmo Guardastagno lo ha trasformato, agli occhi del<br />
Rossiglione, da amico fraterno e compagno d'armi 32 a nemico/belva, a cui trarre dal<br />
petto il cuore, centro della sua potenza. In Boccaccio questa corrispondenza viene<br />
sottolineata non solo dalla feroce immagine del cavaliere che con le proprie mani<br />
strappa dal petto il cuore ancora caldo del nemico, ma dalle parole che Guglielmo<br />
Rossiglione <strong>di</strong>ce al cuoco:<br />
Prenderai quel cuore <strong>di</strong> cinghiare e fa che tu ne facci una vivandetta la migliore e la più <strong>di</strong>lettevole a<br />
mangiar che tu sai.<br />
In questo modo Guglielmo, ostentando verso il cuore umano del nemico la stessa<br />
considerazione <strong>di</strong> quella per il cuore un animale cacciato, 33 nega la sua nobiltà<br />
‘umana’, senza peraltro rinnegare (né l'avrebbe potuto) la sua natura guerriera. Natura<br />
comunque nobile, tanto che il cuore viene dapprima avvolto in un pennoncello <strong>di</strong><br />
lancia e poi servito a tavola, elaborato e riccamente speziato, in un vassoio d'argento.<br />
Guglielmo avrebbe dovuto mangiare quel cuore, ed invece «per lo malificio da lui<br />
commesso, nel pensiero impe<strong>di</strong>to» poco mangiò della cena e soprattutto non toccò il<br />
cuore del Guardastagno, facendo sì che Soremonda, e solo lei, ne mangiasse. Un<br />
errore imperdonabile questo: il cuore del nemico deve essere mangiato, dopo tutto, e<br />
non offerto alla moglie. La voglia <strong>di</strong> vendetta prende troppo la mano al Rossiglione,<br />
che in questo modo fa mangiare all'amante il cuore dell'amato, con tutto quello che<br />
necessariamente ne conseguirà. Come si è visto il Boccaccio si sente in dovere <strong>di</strong><br />
dare una giustificazione a questo comportamento: è la coscienza sporca, è la<br />
consapevolezza dell'enormità del delitto che toglie l'appetito al feroce marito.<br />
Giustificazione che suona un poco forzata, dopo tutto: tutte le azioni che Guglielmo<br />
Rossiglione ha fatto sin qui, nonostante la truculenza, sono assolutamente in regola<br />
con il co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> comportamento del guerriero e della sua mitologia. Guglielmo invece<br />
è accecato dall'ira, non dalla consapevolezza del delitto e si pregusta l'orrore <strong>di</strong><br />
Soremonda <strong>di</strong> fronte all'atto cannibalico <strong>di</strong> cui sarebbe stata attrice seppure<br />
inconsapevole. Ma gli amanti hanno un co<strong>di</strong>ce non meno forte, in parte mutuato dalla<br />
simbologia cristiana ma che si rifà comunque allo stesso principio <strong>di</strong> assimilazione e<br />
<strong>di</strong> ricomposizione delle qualitates dell'alimentum: in questo caso il rapporto fra il<br />
cuore <strong>di</strong> Cabestaing e madonna Soremonda è <strong>di</strong>ametralmente opposto rispetto a<br />
quello del guerriero e la belva: la donna mangia il cuore dell’amato, sede della sua<br />
stessa forza <strong>di</strong> cavaliere, cioè della stessa sua personalità: assimilandolo ella stessa<br />
32 «E per ciò che l'uno e l'altro era prod'uomo molto nell'arme, s'amavano assai e in costume avevan d'andare a ogni<br />
torniamento o giostra o altro fatto d'arme insieme e vestiti d'una assisa». Decameron cit.<br />
33 Il tema dello scambio viscere umano / viscere <strong>di</strong> cinghiale appare particolarmente interessante e non solo per la<br />
presunta similitu<strong>di</strong>ne fra le caratteristiche delle due carni, spesso descritta dagli autori me<strong>di</strong>ci (cfr. Michele Savonarola,<br />
Libreto de tutte cose che se manzano, Venezia 1515 p. 35). Nella favola <strong>di</strong> Biancaneve, ad esempio, il cacciatore porta<br />
alla perfida regina il fegato ed il polmone <strong>di</strong> un cinghialetto spacciandoli per quelli <strong>di</strong> Biancaneve. In una versione<br />
italiana della medesima favola il servo invece porta alla padrona gli occhi ed il sangue <strong>di</strong> un agnellino «che è sangue<br />
innocente» (cfr. La bella Venezia in Fiabe italiane a cura <strong>di</strong> I. Calvino, Torino 1981 8 , p. 456-459). Nella fiaba raccolta<br />
dai Grimm la regina mangia il fegato, preparato dal cuoco «con molto sale», mentre nella versione italiana non è chiaro<br />
che fine faccia il sangue della ragazza.<br />
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