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interpretazioni mitologiche di fenomeni naturali - Centro ...

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stessero proprio così. Si consideri, per esempio, che come per tutte le altre scienze e<br />

pseudo scienze vi erano due livelli <strong>di</strong> pratica, quello popolare, quasi ‘stregonesco’ e<br />

quello dei più alti portatori <strong>di</strong> queste scienze: i sacerdoti e gli stu<strong>di</strong>osi dell’epoca. Pur<br />

non potendomi addentrare nei giu<strong>di</strong>zi degli antichi su questa <strong>di</strong>sciplina bisogna<br />

sottolineare che ha tanto influenzato la politica romana sia in epoca repubblicana che<br />

imperiale. La tra<strong>di</strong>zione politico-religiosa romana, infatti, voleva che la procuratio<br />

dei portenta annunciati a Roma o avvenuti in suolo romano fosse affidata ad aruspici<br />

etruschi e Cicerone ci assicura che questa tra<strong>di</strong>zione aveva la forma <strong>di</strong> una legge<br />

antichissima romana:<br />

Interpretes autem Iovis optumi maxumi, publici augures, signis et auspiciis operam danto,<br />

<strong>di</strong>sciplinam tenento, sacerdotesque vineta virgetaque et salutem populi auguranto, quique agent<br />

rem duelli quique popularem, auspicium praemonento ollique obtemperanto. Divorumque iras<br />

providento sisque apparento, caelique fulgura regionibus ratis temperanto, urbemque et agros et<br />

templa liberata et effata habento. Quaeque augur iniusta nefasta vitiosa <strong>di</strong>ra deixerit, inrita<br />

infectaque sunto, quique non paruerit, capital esto. “Foederum pacis belli indotiarum ratorum<br />

fetiales iu<strong>di</strong>ces non sunto, bella <strong>di</strong>sceptanto. Pro<strong>di</strong>gia portenta ad Etruscos haruspices<br />

si senatus iussit deferunto, Etruriaque principes <strong>di</strong>sciplinam doceto. Quibus <strong>di</strong>vis creverint,<br />

procuranto, idemque fulgura atque obstita pianto.” (Cic. de leg. II 9,21 - Trad: Che si sottopongano<br />

quando il Senato lo decida i pro<strong>di</strong>gia ed i portenta agli aruspici etruschi e che l’Etruria insegni ai<br />

principes la <strong>di</strong>sciplina.)<br />

Che bisogno aveva, allora il popolo etrusco, <strong>di</strong> una serie infinita <strong>di</strong> possibili<br />

pro<strong>di</strong>gia ed ostenta da dover interpretare, prevenire, o scongiurare? Perché Roma,<br />

pur essendone stata influenzata, ha poi “superato, in un certo senso, questo modo <strong>di</strong><br />

vedere la religione? La risposta ci viene consegnata da Seneca in una frase ormai<br />

<strong>di</strong>ventata famosa: Sen.Quest. Nat. II 32,2:<br />

Hoc inter nos et Tuscos, quibus summa est fulgurum persequendorum scientia, interest : nos<br />

putamus, quia nubes collisae sunt, fulmina emitti; ipsi existimant nubes colli<strong>di</strong> ut fulmina<br />

emittantur; nam, cum omnia ad deum referant, in ea opirione sunt tamquam. non, quia facta sunt,<br />

significent, sed quia significatura sunt, fiant. Eadem tamen ratione fiunt, siue illis significare<br />

propositum, siue consequens est (In questo noi <strong>di</strong>fferiamo dagli Etruschi, noi cre<strong>di</strong>amo che i fulmini<br />

vengano a formarsi per lo scontro delle nubi, essi credono invece che le nubi si scontrino per creare<br />

i fulmini. La loro concezione li porta a credere non già che gli avvenimenti abbiano un significato in<br />

quanto accaduti, ma che essi accadano perché debbono aver un significato).<br />

E’ tutta qui la <strong>di</strong>fferenza, gli Etruschi hanno una visione assolutamente sottomessa<br />

rispetto agli dèi, sono loro che decidono della vita e della morte e non c’è modo che<br />

l’uomo possa risollevarsi ed agire. Da qui la necessità estrema del popolo etrusco <strong>di</strong><br />

‘venire a capo <strong>di</strong> quel che sarà’ con ogni mezzo possibile. Gli Etruschi hanno un’idea<br />

scura del <strong>di</strong>vino, affatto positiva, che l’arrivo degli dèi greci ha solo in parte mitigato,<br />

e che è tornata ad essere cupa non appena la loro influenza è andata scemando a<br />

causa della sempre più forte dominazione romana. Dal IV secolo a.C., infatti, le<br />

tombe tornano ad essere, non solo più povere, ma anche caratterizzate da <strong>di</strong>pinti con<br />

colori scuri quali ver<strong>di</strong> opachi, blu notte e nero. Il rosso scompare nella sua tonalità<br />

brillante per far posto a tonalità più vicine al bordò. In tutto questo tornano a<br />

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