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interpretazioni mitologiche di fenomeni naturali - Centro ...

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«Si può così affermare che le tendenze rivelatesi attraverso i miti sono modelli<br />

presenti tra le quinte <strong>di</strong> ogni spettacolo, come un ricordo ancestrale <strong>di</strong>menticato<br />

persino da coloro che ne subiscono la ripetizione». 51 Che non è ripetizione per noi,<br />

almeno per chi scrive, non può essere ripetizione bensì un creare-ricreare ossia<br />

‘riconoscere’ magari inconsapevole volta per volta secondo le varie circostanze un<br />

mito, il Mito, nella sua unicità archetipica e para<strong>di</strong>gmatica vicino all’Assoluto e<br />

perciò non ‘costruibile’ poi come nuovo (i «nuovi miti», <strong>di</strong> Roland Barthes), nella sua<br />

realtà ammonitrice persistente (<strong>di</strong>remmo admoneta, come l’effigie <strong>di</strong> ‘Iuno<br />

admoneta’ ritrovabile nel derivato moneta), <strong>di</strong> cui sta appunto alle fasi successive<br />

accogliere e portare avanti il significato e risentirlo in modo attivo («celebrarlo» lui<br />

che si «rivela», Pavese; un po’ come il Sacrificio nella Santa Messa con il suo valore<br />

alto <strong>di</strong> Festa, <strong>di</strong> morte-rinascita, non lontano in ciò dalla posizione <strong>di</strong> Mircea Eliade).<br />

Sicché ci sono nuove forme sì, però non nuovi miti, situazioni nuove in quanto vi si<br />

riconosce, se se ne è in grado, la significanza <strong>di</strong> un’esperienza o <strong>di</strong> un fatto ‘lontano’<br />

già avvenuto (e rimasto allora trascurato, <strong>di</strong>menticato) che si <strong>di</strong>stingue magari<br />

‘adattandolo’ per la sua vali<strong>di</strong>tà archetipica, quin<strong>di</strong> para<strong>di</strong>gmatica. Senza <strong>di</strong>re<br />

dell’ambito irrazionale suo, che accomoda e adombra una logicità sottostante, o che<br />

abbrevia i percorsi dell’esistenza (Hermann Broch).<br />

Che <strong>di</strong>re allora dell’incorporeo (pure sostanza) degli odori, delle sensazioni <strong>di</strong><br />

profumo. Non solo quelle provate dal Magalotti in un or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> assaporati sondaggi e<br />

confronti. Anche quelle tutto speciali in un ambito religioso che accompagnavano in<br />

taluni momenti Padre Pio o suoi devoti in determinate situazioni. Annuncio <strong>di</strong> una<br />

presenza, <strong>di</strong> un significato che non si vede. O l’ombra, il suono che fanno sapere che<br />

c’è un corpo. Lo stesso meriggio in senso ambientale antropologico-(zoologico) così<br />

legato ai <strong>fenomeni</strong> della natura e della terra, in Pavese e prima in un Leopar<strong>di</strong>. I<br />

mo<strong>di</strong> del linguaggio in<strong>di</strong>retto e celato sussistono fuori dall’episo<strong>di</strong>o contingente e<br />

stanno in un loro spazio <strong>di</strong>gnitoso, se non ad<strong>di</strong>rittura creano una realtà autentica. E<br />

attraverso i simboli, anche se troppo materiali per il Benoist, e comunque tali da<br />

alludere ad altro che non sia solo il mondo delle forme (Bruno) e miri all’incorporeo<br />

(inteso ora proprio come non materia), allo ‘straor<strong>di</strong>nario’.<br />

«Lo straor<strong>di</strong>nario ci par grande […]: anche la piccolezza quando è straor<strong>di</strong>naria si<br />

crede e si chiama grandezza. Tutto questo la ragione non lo comporta» (Zib. 14).<br />

Così un giovanissimo Leopar<strong>di</strong>. E se anche solo scorriamo l’In<strong>di</strong>ce dello Zibaldone,<br />

troviamo sui attributi come «fonte <strong>di</strong> piacere», «fonte della grazia», tale che dà<br />

«gran<strong>di</strong> passioni» e persino «allegria», elemento in grado <strong>di</strong> dare lo scarto<br />

dall’or<strong>di</strong>nario «dei casi de’ romanzi» (per i giovani) e da fissarsi «nella memoria<br />

anche senza porvi attenzione», anzi vicino a quello stupirsi, riferito a Virgilio,<br />

dell’uomo <strong>di</strong> se stesso “come per assolutamente straor<strong>di</strong>nario”, quando l’uomo<br />

riflette sui propri mali sentenedosi «come capace <strong>di</strong> tanta sventura».<br />

Ciò in un senso psicologico, fuori dai <strong>fenomeni</strong> <strong>naturali</strong> <strong>di</strong>retti, <strong>di</strong> cui però anche il<br />

tratto antropologico può rientrare in una linea <strong>di</strong> istinti e pulsioni della terra:<br />

quell’avvertire quasi <strong>di</strong> sorpresa una sensazione che non si domina, una circostanza<br />

51 Ibid.<br />

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