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1.1 I biomarcatori<br />
Il termine “biomarcatore” è un termine generico che indica un composto legato<br />
all’interazione tra un sistema biologico ed un agente ambientale (Jakubowski and<br />
Trzcinka-Ochocka, 2005). In accordo con l’International Program of Chemical Safety<br />
(ICPS) (IPCS, 1993), possono essere identificate tre classi di biomarcatori:<br />
- Biomarcatore di Esposizione: una sostanza esogena, od un suo metabolita,<br />
oppure il prodotto di un’interazione tra un agente xenobiotico e alcune molecole<br />
bersaglio a livello cellulare misurati in uno specifico comparto o campione<br />
biologico proveniente dall’organismo. I livelli di biomarcatori di esposizione<br />
tradizionalmente misurati, come vedremo nei paragrafi successivi, hanno il<br />
limite di rappresentare una dose sistemica e non danno informazioni sul sito da<br />
cui la sostanza tossica entra, come per esempio i polmoni per le sostanze che<br />
vengono inalate (Aitio, 2006).<br />
- Biomarcatore di effetto: un’alterazione biochimica, fisiologica, comportamentale<br />
o altro che sia misurabile in un organismo e che, in base alla sua intensità, possa<br />
essere associata ad una determinata o possibile malattia o danno alla salute.<br />
Sebbene sia molto utile dosare tali marcatori per un corretto e completo MB,<br />
spesso alcuni di essi hanno il limite che non esistono standard di riferimento e<br />
anche le metodiche utilizzate non sono sufficientemente validate (Aitio, 2006).<br />
Infine, in alcuni casi essi non possiedono sufficiente specificità, in quanto fattori<br />
interferenti diversi dalla sostanza tossica in esame possono alterarne le<br />
concentrazioni nei campioni biologici.<br />
- Biomarcatore di suscettibilità: un indicatore dell’abilità preesistente o acquisita<br />
di un organismo di rispondere allo stimolo derivante dall’esposizione ad una<br />
specifica sostanza xenobiotica.<br />
Di solito, la determinazione dei primi due tipi di biomarcatori viene riconosciuta come<br />
parte delle attività svolte durante il MB. Tuttavia, l’utilizzo del terzo marcatore nella<br />
pratica è poco utilizzato, perché prevede lo screening genetico di ben determinati<br />
indicatori di suscettibilità spesso specifici per ogni sostanza e, oltre a creare problemi<br />
etici, ossia una possibile discriminazione in ambienti di lavoro a causa del proprio<br />
patrimonio genetico, al momento non possiede un valore predittivo sufficiente alto<br />
(Jakubowski and Trzcinka-Ochocka, 2005).<br />
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