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Bufanda

Considerate Bufanda come una sciarpa metaforica. Quindici illustrazioni per quindici racconti o, specularmente, quindici racconti per quindici illustrazioni: un intreccio variegato di trama e ordito, inorganico, forse sbilenco e inelegante, ma di certo non casuale. Una sorta di sciarpa della nonna sferruzzata. Una sciarpa da portarsi sempre appresso, valido rimedio contro il fastidioso vento gelido che sferzerà il vostro umore. E, proprio come una sciarpa, assorbirà odori, profumi, pensieri. Ogni volta che la prenderete in mano sarà, sì, tanto familiare, ma sempre diversa, sfumata, ricca di sensazioni e particolari che magari non avevate notato prima.

Considerate Bufanda come una sciarpa metaforica. Quindici illustrazioni per quindici racconti o, specularmente, quindici racconti per quindici illustrazioni: un intreccio variegato di trama e ordito, inorganico, forse sbilenco e inelegante, ma di certo non casuale. Una sorta di sciarpa della nonna sferruzzata. Una sciarpa da portarsi sempre appresso, valido rimedio contro il fastidioso vento gelido che sferzerà il vostro umore. E, proprio come una sciarpa, assorbirà odori, profumi, pensieri. Ogni volta che la prenderete in mano sarà, sì, tanto familiare, ma sempre diversa, sfumata, ricca di sensazioni e particolari che magari non avevate notato prima.

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«Cosa vuoi?» disse Vladimirka.

«Sono passato a trovarti.»

«Cosa vuoi da mangiare, voglio dire.»

Ottavo arrivava all’ora di pranzo o di cena e, dopo sei mesi di

scatolette, quel pasto frugale era un Natale, una Pasqua e un Giorno

del Ringraziamento tutti assieme.

«Non so, hai una bistecca?»

Vladimirka ringhiò, e significava che avrebbe preso una fetta di

carne, l’avrebbe battuta e messa in padella con l’olio d’oliva. Briciola

ringhiò, e significava che avrebbe usato ogni sotterfugio per impossessarsi

della fettina e andare a condividerla con i quadrupedi

vagabondi del quartiere. Dopo sei mesi di scatolette anche per lui

era tempo di bisboccia.

«Allora?» disse Ottavo. Quella parola, sussurrata con timidezza,

era gravida di significato.Con quella domanda chiedeva cosa ne fosse

del loro passato, presente e futuro. Un po’ come interrogare una

maga.

Vladimirka si voltò a squadrare il suo uomo. Era vestito di bianco,

come un bambino alla prima comunione, girava sempre in bicicletta,

vestito di bianco, sporco di pittura bianca, e nel secchiello

aveva chiavi, pennello, portafoglio e un paio di scatolette di tonno

e fagioli per l’indomani.

«Allora niente.»

La risposta,urlata con decisione,era priva di sottintesi.Lei non si

chiedeva nulla: solo il presente meritava attenzione, e non sempre.

«Ti sei snellita.»

Briciola mise fuori il muso da sotto il tavolo e squadrò la padrona,

perplesso.

«Sono aumentata di due chili» corresse secca la donna.

Le pareti domestiche e il profumo della bistecca ispiravano a

Ottavo teneri quadretti familiari, dall’infanzia ai giorni nostri.

«Si sta bene qui» disse rivolto al mastodontico deretano della

moglie, la quale, dopo aver apparecchiato, era sempre rimasta girata

verso il fornello con una certa forzata insistenza, anche prima di

metterci la bistecca.

«Vero. Un paradiso!»

«Il paradiso piace anche a Briciola.»

I lombi di Vladimirka tremarono di stizza.

«Non dire mai una cosa simile. Briciola è tutto, il compagno della

mia vita, il bastone della mia vecchiaia, non augurargli mai niente

del genere.»

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