Bufanda
Considerate Bufanda come una sciarpa metaforica. Quindici illustrazioni per quindici racconti o, specularmente, quindici racconti per quindici illustrazioni: un intreccio variegato di trama e ordito, inorganico, forse sbilenco e inelegante, ma di certo non casuale. Una sorta di sciarpa della nonna sferruzzata. Una sciarpa da portarsi sempre appresso, valido rimedio contro il fastidioso vento gelido che sferzerà il vostro umore. E, proprio come una sciarpa, assorbirà odori, profumi, pensieri. Ogni volta che la prenderete in mano sarà, sì, tanto familiare, ma sempre diversa, sfumata, ricca di sensazioni e particolari che magari non avevate notato prima.
Considerate Bufanda come una sciarpa metaforica. Quindici illustrazioni per quindici racconti o, specularmente, quindici racconti per quindici illustrazioni: un intreccio variegato di trama e ordito, inorganico, forse sbilenco e inelegante, ma di certo non casuale. Una sorta di sciarpa della nonna sferruzzata. Una sciarpa da portarsi sempre appresso, valido rimedio contro il fastidioso vento gelido che sferzerà il vostro umore. E, proprio come una sciarpa, assorbirà odori, profumi, pensieri. Ogni volta che la prenderete in mano sarà, sì, tanto familiare, ma sempre diversa, sfumata, ricca di sensazioni e particolari che magari non avevate notato prima.
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non fosse qui, appoggeresti volentieri la testa sul volante, giusto un
paio di minuti, il tempo sufficiente per recuperare il cervello dall’oblio
in cui sta precipitando.
Non ho sonno! Non ho sonno!
Guardi avanti pensieroso. Sulla strada non c’è niente e nessuno,
tranne una fila di auto senza conducente che si perde nell’oscurità
della notte.
«Eccoti arrivata, sana e salva.»
Lo dici annegando uno sbadiglio dietro un sorriso. Un sorriso
per la tua prima serata trascorsa con Chiara, ma soprattutto perché
tra poco riassaporerai la morbidezza delle tue coperte e il rassicurante
abbraccio del cuscino. Ora tutto sta per finire. Uscite dall’auto;
ancora un saluto, un bacino su guancia destra, guancia sinistra e
ancora destra, e poi via, a letto.
Non ho sonno! Non ho sonno!
«I miei non sono in casa. Dài, perché non entri un attimo?»
Chiara te lo domanda così. Inaspettatamente, come fosse la domanda
più semplice cui rispondere. E lo fa con quella sua voce fresca
e leggera che ti ricorda la brezza che s’insinua dalle finestre
aperte per rendere piacevole il riposo nelle notti d’estate. Ma non
è estate e certamente non è per riposare che Chiara ti ha chiesto di
salire da lei. Dovresti saltare di gioia, gridare la tua felicità, fare piroette
e capriole per questa inattesa evoluzione del vostro primo
appuntamento, eppure le tue labbra non si muovono da quella indecifrabile
linea rossa dietro la quale rimane asserragliato il più assurdo
e martellante dei pensieri.
Non ho sonno! Non ho sonno!
Te lo ripeti alla nausea.
Una litania che non ha proprio niente di eroico,e la tua resistenza
al bisogno primario di cadere in letargo, più che strenua, è ridicola;
e quando il torpore ti scioglie definitivamente le ginocchia, risucchiandoti
le gambe al suolo come se la gravità in quel angolo di
marciapiede fosse improvvisamente triplicata, eviti lo schianto solo
perché Chiara è sulla traiettoria di caduta. Ti aggrappi a lei, la abbracci
con le stesse movenze di un pugile suonato.
Non ho sonno! Non ho sonno!
Si dice che i gesti a volte siano più importanti delle parole, e
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