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Bufanda

Considerate Bufanda come una sciarpa metaforica. Quindici illustrazioni per quindici racconti o, specularmente, quindici racconti per quindici illustrazioni: un intreccio variegato di trama e ordito, inorganico, forse sbilenco e inelegante, ma di certo non casuale. Una sorta di sciarpa della nonna sferruzzata. Una sciarpa da portarsi sempre appresso, valido rimedio contro il fastidioso vento gelido che sferzerà il vostro umore. E, proprio come una sciarpa, assorbirà odori, profumi, pensieri. Ogni volta che la prenderete in mano sarà, sì, tanto familiare, ma sempre diversa, sfumata, ricca di sensazioni e particolari che magari non avevate notato prima.

Considerate Bufanda come una sciarpa metaforica. Quindici illustrazioni per quindici racconti o, specularmente, quindici racconti per quindici illustrazioni: un intreccio variegato di trama e ordito, inorganico, forse sbilenco e inelegante, ma di certo non casuale. Una sorta di sciarpa della nonna sferruzzata. Una sciarpa da portarsi sempre appresso, valido rimedio contro il fastidioso vento gelido che sferzerà il vostro umore. E, proprio come una sciarpa, assorbirà odori, profumi, pensieri. Ogni volta che la prenderete in mano sarà, sì, tanto familiare, ma sempre diversa, sfumata, ricca di sensazioni e particolari che magari non avevate notato prima.

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i mappamondi. E di nuovo Ottavo non seppe che dire, perché non

era certo di essere lì, fra i satelliti della Via Lattea, in un mondo di

sfere celesti, nuotando tra spazzatura spaziale, pentole e tegami.

Guardalo lì, rosso in viso e imbambolato. Faceva quasi tenerezza.

«Vuoi un’altra bistecca?» Più che un invito, una minaccia.

«Fammi mangiare questa» rispose Ottavo, ancora un po’ perso

nei muliebri mondi rotondi, cosicché il piatto dapprima era una

bianca luna e non c’era nulla di male. Poi la mesta realtà con fatica

prese il sopravvento. Il piatto era vuoto.

«È finita nell’altra dimensione» mormorò incredulo.

«Si chiama stomaco.È il tuo solo organo,dovresti conoscerlo bene.»

Forse fu il bicchiere di vino, forse la passione accesa, la testa

viaggiava con sola andata.

«Non sapeva di niente.»

Vladimirka preparò il cibo per Briciola, consistente in carbonara,

fette di salame e torta Saint Honoré, poi lo chiamò con una voce

così melliflua che la stessa Circe si sarebbe trasformata in scrofa.

Il cane non era sotto il tavolo, ma da lì partiva una costellazione

di burro e sangue cotto sul pavimento, una bella curva che portava

alla finestra aperta.

E a Ottavo sovvenne che, mentre galleggiava nei mondi paralleli,

un essere peloso gli era salito sulle gambe e aveva appoggiato le

zampe sul tavolo, come ai bei tempi, quando tutti i giorni si rizzava

sul manubrio della bici e veniva portato a spasso. E poi aveva infilato

il muso nel cestino della bici, cioè nella luna, mi correggo, nel

piatto e il respiro pesante che Ottavo aveva attribuito a se stesso

durante il giro del mondo in pochi secondi, era quello sottostante

del cane alle prese con la sua bistecca. La sua bistecca!

Con un balzo Ottavo iniziò l’inseguimento della costellazione

sugosa, attraversò l’orto con il cipiglio di un orco bianco, sotto gli

sguardi attoniti dei nani.

«Bri! Bri! Dove sei!» gli sembrò di urlare,in realtà smorzava le vocali

per non farsi sentire dalla ex, e così gridava «br br», come una

cicala. Mariasole, che stava prendendo la tintarella, agitò la mano in

segno di saluto, e con il dito indicò il campo. Che ragazza perspicace,che

ragazza solidale,che ragazza coraggiosa.Che ragazza,insomma.Non

le sfuggiva niente,capiva sempre tutto al volo,capiva le cose

ancor prima che le cose fossero, capiva anche dove non c’era

niente da capire. Era una ragazza dai nove sensi.

Dopo una corsa forsennata, ecco il buon Briciola, con la bistecca

fra le fauci, vicino a Bauhaus, un cane venti volte più grosso, che

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