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Bufanda

Considerate Bufanda come una sciarpa metaforica. Quindici illustrazioni per quindici racconti o, specularmente, quindici racconti per quindici illustrazioni: un intreccio variegato di trama e ordito, inorganico, forse sbilenco e inelegante, ma di certo non casuale. Una sorta di sciarpa della nonna sferruzzata. Una sciarpa da portarsi sempre appresso, valido rimedio contro il fastidioso vento gelido che sferzerà il vostro umore. E, proprio come una sciarpa, assorbirà odori, profumi, pensieri. Ogni volta che la prenderete in mano sarà, sì, tanto familiare, ma sempre diversa, sfumata, ricca di sensazioni e particolari che magari non avevate notato prima.

Considerate Bufanda come una sciarpa metaforica. Quindici illustrazioni per quindici racconti o, specularmente, quindici racconti per quindici illustrazioni: un intreccio variegato di trama e ordito, inorganico, forse sbilenco e inelegante, ma di certo non casuale. Una sorta di sciarpa della nonna sferruzzata. Una sciarpa da portarsi sempre appresso, valido rimedio contro il fastidioso vento gelido che sferzerà il vostro umore. E, proprio come una sciarpa, assorbirà odori, profumi, pensieri. Ogni volta che la prenderete in mano sarà, sì, tanto familiare, ma sempre diversa, sfumata, ricca di sensazioni e particolari che magari non avevate notato prima.

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la liturgia della messa domenicale.

Il barbiere lo fece accomodare sulla poltrona abbottonandogli

la mantellina sul collo. Il pettine e le forbici affondavano nei capelli

increspati del Toni, che dirigeva il suo sguardo assente verso lo

specchio. Qualche minuto d’imbarazzato silenzio e poi l’indiscreto

figaro gli chiese: «È da un bel po’ che non ci si vede. Come mai da

queste parti di martedì?»

Toni tossì per rischiarare le corde vocali e con voce riluttante:

«Stanotte partirò per Roma...con quelli della parrocchia...domani

saremo all’Angelus...»

L’uomo non aveva ancora terminato di parlare quando il barbiere

spalancò la porta con gli arnesi del mestiere in mano correndo

al bar adiacente alla bottega.

«Volete sapete l’ultima?!» strillò il barbiere agli avventori del locale

«domani il Toni va a Roma dal Papa.»

Seguì una sprezzante risata che echeggiò finanche all’interno

della barberia. Non contento, l’intrigante artigiano attraversò la

piazza per raggiungere la drogheria, affollata di donne.

«Il Toni è venuto a farsi bello per il Papa» urlò il barbiere come

una salace treccaiuola. Prima del sopraggiungere della sera nessuna

delle mille anime di Castropera sarebbe stata all’oscuro del viaggio

del Toni.

Nella barberia i clamori lambivano il Toni all’interno del suo guscio.

Sprofondato su quella fredda poltrona quell’uomo, apparentemente

imperturbabile, si confrontava con la sua immagine riflessa.

Vedeva un uomo che urlava l’angoscia della sua solitudine con la testa

tra le mani.Tutto intorno, uno scenario onirico deformato dall’indifferenza

e dal cinismo.

All’imbrunire del giovedì successivo, il Toni ricomparve per le

strade del borgo con un volto folgorato e impietrito.Portava sul petto

una grande immagine del Papa e tra le mani una corona. Con lo

sguardo fisso nel vuoto ripeteva ossessivamente: «Mi ha parlato!»

Non dava certo un’impressione rassicurante. Sembrava proprio

uscito di senno.Gli abitanti del borgo,dapprima a decine,poi a centinaia,

cominciarono a seguirlo preoccupati e incuriositi. Quando

l’uomo giunse nella piazzetta del bar e del salone da barba, il seguito

del Toni appariva come il corteo dei bambini di Hamelin dietro

il loro pifferaio magico. Anche il barbiere impiccione uscì dalla bottega

con cipiglio incredulo tenendo con una mano la ciotola della

crema da barba nella quale continuava a roteare il suo pennello.

Il Toni si fermò repentinamente davanti a lui,sfoderando una de-

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