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Bufanda

Considerate Bufanda come una sciarpa metaforica. Quindici illustrazioni per quindici racconti o, specularmente, quindici racconti per quindici illustrazioni: un intreccio variegato di trama e ordito, inorganico, forse sbilenco e inelegante, ma di certo non casuale. Una sorta di sciarpa della nonna sferruzzata. Una sciarpa da portarsi sempre appresso, valido rimedio contro il fastidioso vento gelido che sferzerà il vostro umore. E, proprio come una sciarpa, assorbirà odori, profumi, pensieri. Ogni volta che la prenderete in mano sarà, sì, tanto familiare, ma sempre diversa, sfumata, ricca di sensazioni e particolari che magari non avevate notato prima.

Considerate Bufanda come una sciarpa metaforica. Quindici illustrazioni per quindici racconti o, specularmente, quindici racconti per quindici illustrazioni: un intreccio variegato di trama e ordito, inorganico, forse sbilenco e inelegante, ma di certo non casuale. Una sorta di sciarpa della nonna sferruzzata. Una sciarpa da portarsi sempre appresso, valido rimedio contro il fastidioso vento gelido che sferzerà il vostro umore. E, proprio come una sciarpa, assorbirà odori, profumi, pensieri. Ogni volta che la prenderete in mano sarà, sì, tanto familiare, ma sempre diversa, sfumata, ricca di sensazioni e particolari che magari non avevate notato prima.

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ceva che i migliori matematici della galassia conducessero lì i loro

allievi per insegnare il concetto di implicazione logica nei due sensi

con un esempio che non sarebbe stato dimenticato (se non dopo

diversi bicchieri di amaro Johirenkii).

Beh, il nostro spazzino non aveva mai sentito questa storia e

nemmeno si sentiva particolarmente portato per la matematica, ma

anche a colpo d’occhio l’edificio non appariva certo invitante; nondimeno

se la pioggia insistente non contribuiva affatto a migliorarne

l’aspetto, decisamente contribuiva a spronare Pat ad apprezzarne

i lati positivi. Qualunque essi fossero.

Legato dunque il cammello sotto la tettoia malandata e varcata

la soglia, si trovò immerso nella più allegra, fumosa, cacofonica ed

eterogenea baraonda che avesse mai visto. C’era gente proveniente

da ogni angolo della Galassia. Il ventre dell’arca di un nuovo Noè

non avrebbe potuto ospitare folla più variopinta. Circa il diluvio, su

Deltholopithan si stavano evidentemente portando avanti.

Facendosi faticosamente strada fra gli avventori, individuò dietro

al bancone quello che doveva essere Zio Razzo Pazzo: un grosso

umano gioviale dai lineamenti marcati e dalla pelle scura, con

quella peculiare aria placida e sottilmente sorniona di chi conosce

a menadito i Centoventiquattro Modi Per Spezzare Le Ossa A Trentadue

Specie Senzienti Diverse. Chissà se aveva conosciuto il nonno,

in fanteria.

Pat raggiunse il bancone:«Da bere e da mangiare,per favore,per

me e per il cammello là fuori.»

«Mi prendi in giro,straniero?» l’oste ebbe un mezzo sorriso «E cosa

ci farebbe un cammello, dico, un vero cammello con due gobbe

e tutto quanto, su Deltholopithan?»

Pat sospirò.

«È una lunga, maledetta storia.»

«Lunga e maledetta... esattamente come una notte di tempesta

su Deltholopithan, ragazzo» rispose Zio Razzo Pazzo allungandogli

un bicchiere.

Okay, okay. Qui poi inserirò la narrazione, per bocca dello

spazzino, di come e perché siamo arrivati su Deltholopithan, inframmezzandola

con interventi dell’oste, avvenimenti nella locanda,

eccetera. Cambio dell’io narrante, inserti dal piano narrativo

precedente... Omero, Ende, Moore, tremate!

Quando la sua voce si spense, un silenzio rapito riempiva la lo-

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