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Bufanda

Considerate Bufanda come una sciarpa metaforica. Quindici illustrazioni per quindici racconti o, specularmente, quindici racconti per quindici illustrazioni: un intreccio variegato di trama e ordito, inorganico, forse sbilenco e inelegante, ma di certo non casuale. Una sorta di sciarpa della nonna sferruzzata. Una sciarpa da portarsi sempre appresso, valido rimedio contro il fastidioso vento gelido che sferzerà il vostro umore. E, proprio come una sciarpa, assorbirà odori, profumi, pensieri. Ogni volta che la prenderete in mano sarà, sì, tanto familiare, ma sempre diversa, sfumata, ricca di sensazioni e particolari che magari non avevate notato prima.

Considerate Bufanda come una sciarpa metaforica. Quindici illustrazioni per quindici racconti o, specularmente, quindici racconti per quindici illustrazioni: un intreccio variegato di trama e ordito, inorganico, forse sbilenco e inelegante, ma di certo non casuale. Una sorta di sciarpa della nonna sferruzzata. Una sciarpa da portarsi sempre appresso, valido rimedio contro il fastidioso vento gelido che sferzerà il vostro umore. E, proprio come una sciarpa, assorbirà odori, profumi, pensieri. Ogni volta che la prenderete in mano sarà, sì, tanto familiare, ma sempre diversa, sfumata, ricca di sensazioni e particolari che magari non avevate notato prima.

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se per noi del primo piano gli altri sei crollerebbero all’istante.»

Angela si appoggiò allo schienale della sedia e si guardò intorno.

Il muro che dava verso l’esterno era una successione di finestre

scure e opache. Attraverso lo strato millenario di polvere e gocce di

pioggia incrostati sul vetro, il colore del cielo perdeva la sua lucentezza.

Era grigio come lo schermo di un televisore rotto.

«Un’eternità? Io l’università l’ho finita in cinque anni» osservò.

«Ovvio» replicò Marco annuendo.«La donna ingegnere non è mica

come l’uomo ingegnere. Ma certe cose tu non le puoi capire...»

Sospirò. «Mi spiego. Una donna si mette e studia quanto le pare. Si

mette sui libri. Ci sta un mese, due mesi. Poi va e passa l’esame. Un

uomo si mette sui libri. Magari studia un mese di fila, ma poi deve

scopare... E per scopare deve uscire. E anche per un bel po’ di tempo.

Deve uscire una sera, due sere, tre sere. Perché non è che scendi

sotto casa, vai al pub, trovi una donna e scopi. Una donna, invece,

mettiamo anche il caso che le venga lo sghiribizzo di scopare,

non le viene eh, ma supponiamo che le venga, s’infila una minigonna,

scende al bar sotto casa e scopa. O, al limite, se non ha neanche

voglia di uscire, telefona a un amico e gli fa ciao, oggi si scopa.E

quello corre.»

Marco si accese una sigaretta e lanciò un’occhiata ad Angela.

Aspirò.

«Per farti capire ancora meglio qual è la condizione dell’uomo,

ti faccio un esempio: l’altro giorno ho visto un gatto. E ho provato

proprio un senso di solidarietà maschile. Si può provare solidarietà

maschile anche tra razze diverse, lo sapevi? Insomma, c’era una gatta

sul cornicione di un palazzo.Sdraiata all’ombra,bella comoda.Lei

se ne stava lì,distesa proprio sul bordo del cornicione.E c’era il gatto

che cercava di montarle sopra. Quello tentava di mettere il piede

dall’altra parte ma non trovava l’appoggio, perché la gatta stava

proprio in filo al cornicione. E quel disgraziato del gatto non si rassegnava:

le montava sopra, non trovava l’appoggio e cercava di stare

in equilibrio su tre zampe e... ops, adesso cado, dopo cado...»

Marco spense la sigaretta nel portacenere e appoggiò i gomiti

sul tavolo.

«E quella stronza della gatta non si spostava neanche di un centimetro.

Se ne stava tutta bella spaparanzata. Bastava che si muovesse

un po’, neanche che si alzasse. Come a dire io non ti ho detto di

no, però neanche di sì. Quindi sono cazzi tuoi! E ho pensato eh,

povero disgraziato, come ti capisco. Siamo tutti nella tua stessa

situazione.»

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