Bufanda
Considerate Bufanda come una sciarpa metaforica. Quindici illustrazioni per quindici racconti o, specularmente, quindici racconti per quindici illustrazioni: un intreccio variegato di trama e ordito, inorganico, forse sbilenco e inelegante, ma di certo non casuale. Una sorta di sciarpa della nonna sferruzzata. Una sciarpa da portarsi sempre appresso, valido rimedio contro il fastidioso vento gelido che sferzerà il vostro umore. E, proprio come una sciarpa, assorbirà odori, profumi, pensieri. Ogni volta che la prenderete in mano sarà, sì, tanto familiare, ma sempre diversa, sfumata, ricca di sensazioni e particolari che magari non avevate notato prima.
Considerate Bufanda come una sciarpa metaforica. Quindici illustrazioni per quindici racconti o, specularmente, quindici racconti per quindici illustrazioni: un intreccio variegato di trama e ordito, inorganico, forse sbilenco e inelegante, ma di certo non casuale. Una sorta di sciarpa della nonna sferruzzata. Una sciarpa da portarsi sempre appresso, valido rimedio contro il fastidioso vento gelido che sferzerà il vostro umore. E, proprio come una sciarpa, assorbirà odori, profumi, pensieri. Ogni volta che la prenderete in mano sarà, sì, tanto familiare, ma sempre diversa, sfumata, ricca di sensazioni e particolari che magari non avevate notato prima.
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canda. Gli astanti sembravano sospesi nel fumo rado.
Poi, lentamente, qualcuno si sistemò meglio dove stava seduto,
qualcun altro aspirò una boccata dalla pipa e la locanda tornò al
suo consueto fragore.
Lo spazzino finì il bicchiere e si pulì la bocca.
«Sto cercando il rabbino O’Reilly» disse asciutto.
L’oste lo guardò per un momento, come se non lo vedesse.
«Lo puoi trovare alla sinagoga, in fondo alla strada.»
«Grazie. Era tutto... uh... ottimo.»
La strada proseguiva fino all’esterno del cerchio delle abitazioni,
per terminare in un grande spiazzo brullo spazzato dal vento. Lì,
imponente e plumbea, si levava la sinagoga.
Nella pioggia implacabile e nell’oscurità, la sua altezza era difficile
da valutare. La sommità sembrava fondersi con il cielo crudele,
come se questo avesse proteso le proprie radici verso il suolo, per
versare poi tutto il proprio umore gelido a loro privilegio. L’acqua
scorreva lungo i fregi e sgorgava con fragore dai doccioni, inducendo
il visitatore a domandarsi quale divinità potesse mai essere venerata
in quel luogo, se non la tempesta stessa.
Nessuna insegna all’entrata. In qualche modo, Pat ne fu un poco
sollevato.
Ah, è già il mio turno al posto-pilota?
No, no, vai pure a riposarti cara. Ci penso io.
Ho capito: Jim ha già mangiato. Niente succo di melarancia,
troppo gli fa male.
Hey, non guardarmi così. Ho detto che ho capito, non ti fidi
più di tuo marito? Sì, anch’io ti amo.
Ciao. Bacio. Ciao, ciaaao.
Andata.
Prendi il succo figliolo, io mi occupo delle ciambelle.
L’interno della sinagoga costituiva una solenne, gigantesca cassa
armonica di pietra, ad uso della voce roboante del suo dio. Soltanto
alcuni angoli erano fiocamente illuminati dalle candele,ma ad
ogni lampo le immagini dei rosoni proiettavano foreste di colore
tutt’attorno.
Pat ne era completamente affascinato.
Si sedette su uno scranno, sentendo tutto il peso del proprio
corpo. Non avrebbe saputo dire quanto tempo dopo, si rese conto
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