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Bufanda

Considerate Bufanda come una sciarpa metaforica. Quindici illustrazioni per quindici racconti o, specularmente, quindici racconti per quindici illustrazioni: un intreccio variegato di trama e ordito, inorganico, forse sbilenco e inelegante, ma di certo non casuale. Una sorta di sciarpa della nonna sferruzzata. Una sciarpa da portarsi sempre appresso, valido rimedio contro il fastidioso vento gelido che sferzerà il vostro umore. E, proprio come una sciarpa, assorbirà odori, profumi, pensieri. Ogni volta che la prenderete in mano sarà, sì, tanto familiare, ma sempre diversa, sfumata, ricca di sensazioni e particolari che magari non avevate notato prima.

Considerate Bufanda come una sciarpa metaforica. Quindici illustrazioni per quindici racconti o, specularmente, quindici racconti per quindici illustrazioni: un intreccio variegato di trama e ordito, inorganico, forse sbilenco e inelegante, ma di certo non casuale. Una sorta di sciarpa della nonna sferruzzata. Una sciarpa da portarsi sempre appresso, valido rimedio contro il fastidioso vento gelido che sferzerà il vostro umore. E, proprio come una sciarpa, assorbirà odori, profumi, pensieri. Ogni volta che la prenderete in mano sarà, sì, tanto familiare, ma sempre diversa, sfumata, ricca di sensazioni e particolari che magari non avevate notato prima.

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mi prendono in mano si guardano e sorridono; vedete questa treccia

un po’ sciolta? Sì, proprio quella! È stato il signor Rossi a rovinarla

perché era nervoso mentre aspettava che la sua neo sposa

uscisse dal bagno per la loro prima notte d’amore. Non vi nego che

qualche volta litigano, ma sono una bella coppia perché li lega una

sana e naturale complicità.

La complicità, una dote indispensabile anche per il mio lavoro.

Per fare un esempio, sono stato complice del fidanzamento tra un

uomo d’affari, sempre in giro per il mondo, e una ragazza che lavorava

come cameriera stagionale. Lui ha iniziato a corteggiarla subito

ma lei non cedeva; così, una sera, sono scivolato sotto il tavolo

del ristorante senza che nessuno se ne accorgesse e, mentre la cameriera

e il manager mi cercavano, si sono scontrati e, inevitabilmente,

baciati.

Per capire un cliente mi basta vedere come mi tratta. L’artista

francese, che viene durante gli allestimenti dei suoi vernissage,mi

perde puntualmente; una volta mi aveva dimenticato in bagno, sul

bordo del lavandino.

C’è la categoria di clienti, invece, che mi tiene sempre con sé,

come una specie di ossessione. Solitamente si tratta di persone che

soffrono di solitudine e di insicurezza.

Altri giocano con me mentre dicono bugie alla moglie usando il

telefono sul comodino.Altri ancora, appena entrano in camera, mi

gettano sulla scrivania con poca gentilezza, manifestando il loro

istinto sgarbato.

Dentro di me conservo un’infinità di segreti e confidenze, un

po’ come il barista del turno di notte.

Voi non avete idea di quanti, con l’orologio d’oro al polso, bevano

la grappa mignon del frigobar e poi si ingegnino per riempirla

d’acqua e ritapparla in modo che la cameriera non se ne accorga e

non segni la consumazione. E quanti ancora nascondano in valigia

saponette e cuffiette per la doccia dell’albergo; qualcuno persino si

porta a casa un asciugamano per souvenir.

Eppure anche questi piccoli aneddoti paradossali fanno parte

del clima familiare che si respira in questo albergo.

Gianna, ad esempio: il direttore pensa sia una ballerina e invece

fa il mestiere più antico del mondo. Ogni tanto, quando prende bene,

si concede una notte qui, a cento chilometri da dove lavora, per

staccare da tutto e sognare, tra le morbide e profumate coperte di

questa stanza, di farlo per amore, almeno per una volta. Mi fa tenerezza

la mattina, quando si sveglia, e guardando sul comodino sbar-

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