Bufanda
Considerate Bufanda come una sciarpa metaforica. Quindici illustrazioni per quindici racconti o, specularmente, quindici racconti per quindici illustrazioni: un intreccio variegato di trama e ordito, inorganico, forse sbilenco e inelegante, ma di certo non casuale. Una sorta di sciarpa della nonna sferruzzata. Una sciarpa da portarsi sempre appresso, valido rimedio contro il fastidioso vento gelido che sferzerà il vostro umore. E, proprio come una sciarpa, assorbirà odori, profumi, pensieri. Ogni volta che la prenderete in mano sarà, sì, tanto familiare, ma sempre diversa, sfumata, ricca di sensazioni e particolari che magari non avevate notato prima.
Considerate Bufanda come una sciarpa metaforica. Quindici illustrazioni per quindici racconti o, specularmente, quindici racconti per quindici illustrazioni: un intreccio variegato di trama e ordito, inorganico, forse sbilenco e inelegante, ma di certo non casuale. Una sorta di sciarpa della nonna sferruzzata. Una sciarpa da portarsi sempre appresso, valido rimedio contro il fastidioso vento gelido che sferzerà il vostro umore. E, proprio come una sciarpa, assorbirà odori, profumi, pensieri. Ogni volta che la prenderete in mano sarà, sì, tanto familiare, ma sempre diversa, sfumata, ricca di sensazioni e particolari che magari non avevate notato prima.
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un’eternità e la coincidenza, loro, l’hanno persa da sempre, non si
sono mai avvicinati, mai una parola, una battuta o un’offesa, due
sguardi prigionieri l’uno dell’altro. Il Male è un signore sulla sessantina,alto
e di bell’aspetto,in giacca e cravatta,gli occhiali nel taschino,
regge con la destra un quotidiano. Impeccabile. L’altro è un ragazzino,
capelli pettinati a spazzola, ha un pallone in mano ed è in
ritardo per la cena, abbozza due palleggi, crede ancora di poter diventare
un campione con quel numero dieci sulla maglia della nazionale;
ma tiene fissi gli occhi su quel signore, così perde la concentrazione
e la palla continua a cadere per terra.
La ragazza davanti allo schermo degli arrivi non sta aspettando
nessuno. È lì da ore e le lacrime erano solo gocce d’acqua piovana.
Il portafoglio che le hanno rubato conteneva poche monete, nessun
documento né foglietti con numeri di telefono. Solo un biglietto
con un appunto in stampatello.
Nel cesso della stazione il ragazzo apre il portafoglio, legge la
scritta,impreca per non aver trovato nient’altro,esce infuriato,si scola
una birra che teneva nella tasca, scorge la ragazza e le va incontro.
Treni partono e arrivano, gente si affretta, puzza di gasolio, polizia
ferroviaria, piccioni che cagano. La fine per tutto.
La zingara e le sue carte, intorno molte signore scambiano qualche
moneta per una dritta sul futuro, un consiglio o una pozione
d’amore. La maga è accondiscendente: modera presagi in avvertimenti,vende
disgrazie per questioni da risolvere;quando sa di mentire
si ricalca sul volto un sorriso compiacente, coi figli attorno che
non la smettono di ridere e saltare, che sembrano più di mille dal
baccano che fanno.
«Ciao, tutto bene?»
«Non ho bisogno di niente!»
«È solo che ti vedo qui da ore ormai e mi chiedevo se magari
stessi aspettando qualcuno...»
«E tu che ci fai qui da ore?»
«Beh... io, diciamo che ci lavoro...»
«Eeee... che lavoro fai?»
«Infatti... diciamo che mi arrangio come posso... ho preso una
cosa, prima, diciamo per sbaglio, dal tuo zaino...»
La ragazza sorride, non sembra sorpresa, nemmeno spaventata.
«Ah... sei un ladro! Cosa dovrei fare ora? Chiamare la polizia?»
Lui le porge il portafogli.
«Amici come prima?»
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