Bufanda
Considerate Bufanda come una sciarpa metaforica. Quindici illustrazioni per quindici racconti o, specularmente, quindici racconti per quindici illustrazioni: un intreccio variegato di trama e ordito, inorganico, forse sbilenco e inelegante, ma di certo non casuale. Una sorta di sciarpa della nonna sferruzzata. Una sciarpa da portarsi sempre appresso, valido rimedio contro il fastidioso vento gelido che sferzerà il vostro umore. E, proprio come una sciarpa, assorbirà odori, profumi, pensieri. Ogni volta che la prenderete in mano sarà, sì, tanto familiare, ma sempre diversa, sfumata, ricca di sensazioni e particolari che magari non avevate notato prima.
Considerate Bufanda come una sciarpa metaforica. Quindici illustrazioni per quindici racconti o, specularmente, quindici racconti per quindici illustrazioni: un intreccio variegato di trama e ordito, inorganico, forse sbilenco e inelegante, ma di certo non casuale. Una sorta di sciarpa della nonna sferruzzata. Una sciarpa da portarsi sempre appresso, valido rimedio contro il fastidioso vento gelido che sferzerà il vostro umore. E, proprio come una sciarpa, assorbirà odori, profumi, pensieri. Ogni volta che la prenderete in mano sarà, sì, tanto familiare, ma sempre diversa, sfumata, ricca di sensazioni e particolari che magari non avevate notato prima.
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gliolo. La stessa identica tecnica che usava mia madre, il sabato
mattina, per costringere mio padre a tagliare l’erba.Stramaledetta
tuta. Altro che “Extra-Vehicular Activity”...“Lotta Greco-Romana
Con Ingombrante Scafandro”dovrebbero chiamarla! Passami
la multichiave del cinque, Jim. Grazie. Jim, benedetto ragazzo!
Questa è la multichiave del tre. Cosa diamine stai... Ah.
Le stelle.
Non ci si stanca mai di guardarle, eh? Da qui come dalla Terra.
Una collina immersa nel niente, una giacca pesante, l’aria
della notte limpida e fredda.
Dubito che quest’antenna sarà a posto prima di cena.
«“Così Dio scacciò l’Uomo dall’Eden, perché vagasse sulla Terra.
Così l’Uomo, sostituitosi a Dio nel dominio del Creato, scacciò se
stesso dalla Terra per vagare nello Spazio, per partorire con dolore
la Vita nelle sue profondità...”Rabbi, è... è incredibile. La Terra, il Pianeta
Originale.»
Pat, in piedi di fronte al leggio, sollevò il volto dal volume che
stava leggendo.
La sinagoga era immersa nel buio e nel silenzio, la pioggia ora
era soltanto un fruscio in sottofondo. Odore di candele, di polvere
e di qualcosa di più estraneo e ruminante. Rabbi O’Reilly si era tolto
gli occhiali e si stropicciava gli occhi. Senza riaprirli, si appoggiò
stancamente contro lo schienale di velluto consunto.
Quando parlò, la sua voce sembrava antica e impalpabile quanto
il tempo stesso.
«Partirono,Pat.Intere famiglie partirono sulle navi,alla ricerca di
un luogo dove vivere,di un nuovo Eden.Con la speranza di aver imparato
dai passati errori le proprie responsabilità verso di esso. Partirono
anche alla ricerca di loro stessi,alla ricerca della bellezza che
era già nelle loro mani e nei loro cuori. Alla scoperta di quello che
potevano costruire. Alla ricerca di Casa.»
Spentasi l’eco di queste parole, il vecchio rabbino ristette, come
scolpito nella poltrona stessa. Un muto guardiano di velluto.
«Mi domando...» la voce di Pat era poco più di una brezza lieve,
la gola chiusa dall’emozione «Io mi domando cosa abbiano provato
nell’affrontare per la prima volta lo spazio del tutto inesplorato,
cosa significhi essere pionieri di un sogno così grande.Vedere da un
oblò un mondo completamente vergine. Affrontare la sfida della
creazione di un nuovo paradiso; di centinaia, di migliaia di nuovi
paradisi nell’immensità dello spazio profondo...»
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