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"Le caverne dei diamanti" di Emilio Salgari - Altervista

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<strong>dei</strong> veri boschetti.Percorsi duecento passi, feci cenno al mio compagno <strong>di</strong>non muoversi e posto un orecchio a terra, ascoltai con profondaattenzione.– Nulla? – mi chiese il signor Falcone.– Sì – risposi. – Odo il leone che si avanza.In quel momento, un buffo d'aria calda, portò fino al mionaso quell'odore sgradevole <strong>di</strong> selvatico che tramandano glianimali feroci.– L'amico si sente già – <strong>di</strong>ss'io.– È lontano? – mi chiese il genovese.– Io credo che ci stia a breve <strong>di</strong>stanza.Avendo scorto sulla mia destra un grosso albero, ci<strong>di</strong>rigemmo a quella volta, nascondendoci <strong>di</strong>etro l'enorme tronco.Eravamo appena giunti colà, quando verso l'accampamentou<strong>di</strong>mmo delle urla <strong>di</strong> terrore mandate da Foulata e dalla vecchiastrega.– Gran Dio! Che cosa succede? – chiese il genovese,alzandosi. – Che qualche altro leone abbia assaliti i nostricompagni?– Ritorniamo – <strong>di</strong>ssi io.Stavamo per abbandonare l'albero, quando vedemmo duepunti luminosi, fosforescenti, brillare fra le tenebre, a meno <strong>di</strong>trenta passi da noi.– Fuggiamo – gridai.Il genovese invece d'ubbi<strong>di</strong>rmi appoggiò la carabina allaspalla e mirò in quella <strong>di</strong>rezione, con una calma ammirabile.– Fuggite!... – ripetei.In quel momento le macchie s'aprirono impetuosamente edun leone <strong>di</strong> taglia enorme, colla villosa giubba irta, si mostròmandando un ruggito così spaventevole che parve un colpo <strong>di</strong>tuono.171

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