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Raggiungiamo il mio appartamento e quando apro la porta è troppo tardi per rendermi conto che non sono stato previdente. Sdraiata sul mio letto e<br />
vestita di poco o niente c’è una ragazza dai capelli corvini. È alta, snella, formosa, bellissima, e ci fissa con scuri occhi concupiscenti.<br />
«Avaira», dico col tono di chi è stato colto impreparato.<br />
Frannie è furiosa. Agita le braccia in aria sibilando: «Lo sapevo», e se ne va con il fumo che le esce dalle orecchie. Si lascia dietro una scia di pepe<br />
nero – la sua rabbia, mmm… – e mentre marcia verso le scale senza neppure voltarsi aggiunge: «Sei una grandissima testa di cazzo».<br />
È ovvio che c’è una falla nel mio radar. Prima Belias alla cava e ora Avaira nel mio letto. Avrei dovuto sapere che era lì ancora prima di aprire la porta.<br />
Qui non si tratta solo di Frannie che mi distrae. La mia connessione psichica col Maligno sembra calare a vista d’occhio.<br />
Belias e Avaira, i Batman e Robin della lussuria. Di colpo questo posto pullula di demoni. <strong>Il</strong> che significa che Frannie non è al sicuro.<br />
Rivalutando il pensiero che ho appena formulato mi scappa da ridere. Frannie non è al sicuro dal momento in cui sono arrivato io.<br />
Sbatto la porta e la seguo giù per le scale. «Frannie, aspettami!». Ma lei non rallenta. «Non è come pensi. È… è mia cugina!», urlo correndole dietro.<br />
È appena fuori dal portone e sto per raggiungerla. Lei si volta, ma solo per potermi inveire contro con più forza: «Hai la faccia come il culo!».<br />
Sorrido, cercando di limitare il danno: «Ti ho mai mentito prima d’ora?».<br />
Mi guarda al culmine della rabbia. «Sì».<br />
Forse non è stata una gran mossa. «Be’…». Sto per dire che ora non sto mentendo, mentre invece è proprio così, quindi le mentirei ulteriormente.<br />
«Sai cosa? Puoi prendere tua cugina e andartene dritto all’Inferno». Si volta e se ne va.<br />
«Ma dove stai andando?».<br />
Mi ignora platealmente.<br />
«Almeno lascia che ti dia un passaggio a casa».<br />
Niente.<br />
La seguo attraverso il parcheggio, cercando di rimanere serio. Diventa adorabile quando si arrabbia. «Bene, allora ti accompagno a casa a piedi».<br />
«Ma va’ all’Inferno», dice tirando dritto.<br />
Quello che non sa è che è l’Inferno che sta venendo da lei.<br />
Resto un po’ indietro, facendo finta di lasciarla andare. Ma non ho nessuna intenzione di perderla di vista. Perché dove c’è Avaira c’è anche Belias.<br />
Metto in ascolto il mio sesto senso, cercando di intercettarlo. Niente. Eppure lui è qui, ne sono certo, perché è evidente che Avaira era un diversivo per<br />
permettere a lui di occuparsi di Frannie indisturbato. Le creature lussuriose sono convinte che tutti abbiano in testa un’unica cosa, come loro.<br />
A duecento metri dal mio palazzo finalmente intercetto i pensieri di Belias. È arrabbiato. Non capisco se è arrabbiato con me perché sto interferendo<br />
coi suoi piani o con Avaira perché non è stata in grado di distrarmi. Comunque sia, alzo la guardia e affretto il passo, riducendo la distanza fra me e<br />
Frannie.<br />
Ma, proprio quando sto per chiamarla, le si accosta un Charger bianco. A quanto pare non sono l’unico a tenere d’occhio Frannie. Per la prima volta<br />
sono felice che abbia un angelo a guardarle le spalle.<br />
Frannie<br />
«Ehi», dice Gabe mentre mi infilo nella sua macchina.<br />
«Ehi. Grazie», rispondo sollevata.<br />
«Hai un aspetto di merda».<br />
Lo guardo torva. «Oh, grazie».<br />
«Stai bene?»<br />
«Dillo e basta».<br />
«Cosa?», dice con falsa ingenuità.<br />
«“Te l’avevo detto”. So che muori dalla voglia di dirlo. Quindi dillo e basta, così non devo stare qui come un’idiota ad aspettare».<br />
«Ok. Te l’avevo detto».<br />
«Devo essere deficiente o qualcosa di simile», dico lanciando un’occhiata al lunotto posteriore, dove Luc scompare all’orizzonte.<br />
Gabe mi fa un magnifico sorriso. «Non è vero. Adesso ti è caduto il prosciutto dagli occhi, vero?».<br />
Cerco di restituirgli il sorriso. «Direi di sì».<br />
«Devi solo fare molta attenzione a quello che desideri».<br />
Eh? «Eh?».<br />
Lui guarda dritto davanti a sé. «Ti sei mai accorta che se vuoi davvero qualcosa, di solito la ottieni?»<br />
«No». Mi vengono in mente una vagonata di cose che vorrei avere e che invece non ho. La prima è che mi restituiscano mio fratello. Ma per un<br />
secondo ci penso, perché volevo Luc – da brava scema – e in un certo senso l’ho avuto. E Taylor non si era mai tirata indietro davanti a un ragazzo. Ma<br />
ieri notte… Scuoto la testa. «No», ripeto convinta.<br />
Lui alza le spalle e lascia cadere l’argomento, allungando la mano per intrecciare le sue dita con le mie. Sento di nuovo quel profumo, come di neve<br />
d’estate. «Ti va di venire da me per un po’?».<br />
«Sì. Potremmo studiare fisica».<br />
«Certo», dice sorridendo.<br />
La casa di Gabe non è lontana dalla mia ed è uguale alle altre case del vicinato: è su due livelli, dipinta di bianco, con le persiane nere e un lungo<br />
portico sulla facciata. A sinistra della porta d’ingresso c’è un vaso con un enorme cactus di Natale e a destra una sedia a dondolo. <strong>Il</strong> vialetto d’ingresso è<br />
una striscia di ghiaia che taglia un prato verdeggiante e perfettamente rasato, ed è costeggiato da bassi cespugli ben potati. Lo seguo in casa.<br />
Entrando dalla porta ci troviamo nel salotto, che occupa tutta la parte anteriore della casa e ha grandi finestre che danno sul giardino di fronte. Sulla<br />
destra c’è una rampa di scale che porta al primo piano, e sulla sinistra un arco che immette in cucina. Muri e tappeto sono completamente bianchi, come<br />
anche il divano appoggiato al muro e le due sedie davanti alle finestre. Non c’è la TV, ma vedo delle casse per lo stereo, sempre bianche, sulle mensole<br />
agli angoli della stanza.<br />
«Vi state ancora trasferendo?», chiedo esaminando i muri immacolati.<br />
Gabe sorride e scrolla le spalle. «Questo è tutto. Non è che ci serva molto».<br />
«Sì, ma…». Non termino la frase, perché non so bene cosa dire. È strano che non ci siano foto di famiglia o soprammobili di qualche genere. Mia<br />
madre ha foto e ciarpame di ogni tipo sparsi dappertutto. Però buttandomi sul divano mi accorgo che nonostante l’aspetto austero è caldo e<br />
accogliente.<br />
«Ho io la cura per tutti i mali», dice Gabe dileguandosi in cucina. Io frugo nello zaino e ne estraggo il manuale di fisica. Poco dopo lui è di ritorno con<br />
due cucchiai e una vaschetta enorme di gelato, un vero tripudio di cioccolato, cappuccino e caramello. Si siede accanto a me e schiaccia play sull’iPod<br />
bianco appoggiato al tavolino da caffè, bianco anche quello. Parte una musica che sembra provenire da ogni direzione.