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putrefazione e zolfo, crogiolandomi nelle visioni, nei suoni, negli odori di casa. Per un attimo immagino di non essermene mai andato e che le ultime tre<br />
settimane non siano mai esistite.<br />
Poi quell’attimo passa.<br />
Mentre proseguo verso sud, costeggiando l’Abisso di fuoco a debita distanza, il mio umore muta drasticamente. In questa zona le grida sono di<br />
tutt’altro genere. Demoni che non hanno rispettato le direttive o che per qualche motivo sono diventati sgraditi ai loro superiori urlano senza sosta dalle<br />
profondità. Superando l’Abisso per raggiungere il Lago di fuoco, mi accorgo che ogni demone del circondario mi guarda famelico, primi fra tutti i<br />
guardiani dell’Abisso. Non c’è niente che possa rallegrargli la giornata come morte e distruzione imminenti.<br />
Vedo Marchosias che si avvicina di soppiatto. <strong>Il</strong> suo manto chiazzato di cremisi riflette i bagliori vermigli e indaco delle fiamme, gli occhi rossi ardono<br />
allo sbattere della coda e gli zoccoli da satiro scricchiolano sulla roccia lavica, sempre più vicini.<br />
<strong>Il</strong> mio primo istinto è quello di correre, non so bene perché. Invece resto dove sono. Marchosias è un guardiano dell’Abisso, ma non può farmi niente<br />
finché non sono convocato e non viene pronunciata la mia sentenza. E a parte questo, se i demoni avessero degli amici, che di per sé è un fatto<br />
discutibile, Marchosias sarebbe mio amico. Pare che al momento sia nell’unità canina, perché ha un enorme segugio infernale al seguito.<br />
«Pensavi di potertela svignare senza neanche salutare?», dice con un ghigno sul volto ossuto. Senza volere mi trovo a fare un passo indietro. Pochi, a<br />
parte Re Lucifero, irradiano malvagità come Marchosias.<br />
«Ci ho provato».<br />
<strong>Il</strong> segugio siede al suo fianco, alto quasi come me, e l’odore di carne marcescente si mescola a quello di zolfo. «Da quant’è che sei arrivato?»<br />
«Da poco».<br />
«Come sei finito sulla mia lista?»<br />
«Non ne ho idea».<br />
«Mmm…». Guarda oltre il Lago di fuoco, verso l’Isola di fiamme e il nero castello di Pandemonium, le cui alte mura e guglie appuntite dominano gli<br />
Inferi. «L’unico motivo per cui sei durato tanto è che Beherit sta cercando di salvarsi la pelle».<br />
Vengo preso dall’ansia, ma mostrare debolezza sarebbe un errore. «Che succede?»<br />
«Evita il castello. Re Lucifero ha convocato il Gran consiglio e ci sarà un bagno di sangue». Gli occhi di Marchosias brillano, insinuanti, e le sue<br />
bianche zanne scintillano attraverso una smorfia sinistra. «Secondo le voci di corridoio, sul ceppo c’è la testa del tuo capo. C’è qualcosa di grosso che<br />
bolle in pentola, e Beherit non sta concludendo l’affare. Tu non ne sai niente…?». Mi guarda in tralice, con una smorfia sempre più spaventosa.<br />
«No», mento spudoratamente. Perché è quello che fanno i demoni, ma anche perché improvvisamente sento il peso della disperazione, rendendomi<br />
conto di quanto la mia esistenza sia vana. Ecco di cosa è fatto il mio mondo: le nostre uniche fonti di gioia, sempre che gioia sia un termine applicabile<br />
ai demoni, sono il dolore, la morte e la distruzione degli altri. «Dimmi cos’hai sentito».<br />
«<strong>Il</strong> re vuole un mortale, e lo staff di Beherit», dice senza risparmiarmi un tono allusivo, «non riesce a portare a termine il lavoro».<br />
«E perché questo mortale è così importante?»<br />
«Pare che sia eccezionalmente dotato».<br />
«Che genere di dote?».<br />
<strong>Il</strong> suo ghigno si trasforma in una maschera di pura malvagità, e spero che il mortale in questione non sia Frannie. «Suggestione», sibila.<br />
La forza di quell’unica parola mi frana addosso, e per un attimo resto tramortito. Non può essere Frannie. La dote di Frannie è la Preveggenza. Non<br />
voglio neppure pensare a cosa succederebbe qui negli Inferi a un mortale che ha la capacità di influenzare pensieri ed emozioni altrui. Ci sono stati solo<br />
altri due casi nella storia dell’umanità, e quello che apparteneva all’Inferno non ha fatto una bella fine. Stordito, mi volto per continuare il mio cammino, ma<br />
Marchosias mi afferra per un braccio, e per poco i suoi artigli non lacerano la mia carne umana.<br />
«Allora, ci vediamo dopo». I suoi occhi sono fiamme rosse e da un sorriso privo di gioia fanno di nuovo capolino le zanne lucenti.<br />
«Senza dubbio. Cerca di non divertirti troppo».<br />
Mi allontano e recupero lentamente la lucidità quando raggiungo il mio luogo prediletto: è l’angolo d’Inferno che ho raffigurato nel mio murale.<br />
Cammino costeggiando le rive scoscese del Lago di fuoco fino a raggiungerne la punta sud, dove il lago incontra le mura dell’Inferno e scorre il fiume<br />
Stige. Da qui, lo stridore lontano dei dannati e le risate delle schiere infernali si fondono frangendosi contro le mura imponenti, riecheggiando in un coro<br />
di dissonanze. Questo è il mio santuario.<br />
Seduto su una pietra butterata che affiora dalla lava, lascio che la musica dell’Inferno mi accolga per l’ultima volta. Scorgo al di là del lago la mole<br />
lucida e nera di Pandemonium, che troneggia abbarbicato sull’Isola di fiamme. Ammiro il lago di torbida pietra fusa, che trascina nei suoi vortici rossi e<br />
arancioni grosse pietre aguzze, puntandole contro il Paradiso come dita accusatrici. Gli spettacoli di luce che lo accompagnano – bagliori rosso<br />
scarlatto e indaco, con guizzi di fiamme azzurre e bianche – sono i fuochi d’artificio dell’Inferno. Le nuvole di gas sulfureo emanate dalle eruzioni mi<br />
inghiottono e io ne assaporo l’odore, che brucia il mio naso umano. È facile dimenticare com’è bella casa propria, almeno per noi demoni.<br />
All’improvviso mi torna in mente l’anima di Frannie, che mi ha lasciato senza fiato. Pura bellezza. Niente di simile alle anime che avevo visto prima, qui<br />
all’Inferno. Avrà ancora lo stesso aspetto quando Belias avrà finito con lei?<br />
Provo a cacciare quel pensiero dalla testa e il dolore dal cuore, chiudo gli occhi e mi sdraio sulle rocce aguzze di pietra lavica. Ma tutto ciò che vedo,<br />
sento e assaporo – vividamente, come se Frannie fosse qui con me – è l’essenza della ragazza che mi ha fatto mettere in discussione tutto ciò che<br />
sono. Se non sapessi che è impossibile, giurerei di aver sentito una nuvoletta evaporare dall’angolo del mio occhio. Quello che invece sono certo di<br />
sentire è il mio cuore di zolfo che si spezza, mentre me ne sto lì sdraiato in attesa di essere convocato. Perché all’Inferno nessuno ha una seconda<br />
opportunità.<br />
Frannie<br />
Guardo davanti a me, attraverso il parabrezza, mentre Gabe mi porta a casa perso nei suoi pensieri. Passiamo davanti a casa di Taylor ed è allora<br />
che sento il fulmine squarciarmi la testa.<br />
Non di nuovo.<br />
Grugnisco stringendo gli occhi per il dolore e vedo il padre di Taylor, sdraiato sul letto. Non respira più. Mi gira la testa e mi sento malissimo. «Ferma<br />
la macchina!» urlo, e quando riapro gli occhi mi accorgo che siamo già fermi. Apro lo sportello e vomito sull’asfalto. Gabe non è né spaventato né<br />
preoccupato, ma perfettamente calmo. Schizzo fuori dalla macchina e corro verso casa di Taylor. Quando la raggiungo, con un pugno busso e con l’altro<br />
suono il campanello a ripetizione, finché la porta non si apre.<br />
<strong>Il</strong> volto di Taylor si acciglia. «Fee… che storia è?»<br />
«Dov’è tuo padre?», dico senza fiato.<br />
«Sta dormendo… perché? Che succede?»<br />
«Devi andare a vedere se sta bene. Ora!».<br />
«Oh, non è una buona idea. Davvero, Fee. Ma cos’hai?».