I suoi occhi sono profondi chilometri e chilometri. Vorrei tuffarmici dentro. «Be’, prima di tutto, questo». Si china e mi bacia sulla guancia, pericolosamente vicino alla bocca, e il mio cuore accelera di nuovo. «Io sarò sempre qui per te. Se hai bisogno di qualcosa», dice guardando Luc in cagnesco, «sai a chi rivolgerti. Ma al di là di questo, non lo so». Nei suoi occhi si fa largo l’angoscia. Lo abbraccio più forte e dall’altro lato della stanza Luc ci fissa con uno sguardo incendiario. «Stai rischiando grosso con quelle tue ali da pennuto, non hai paura che ti cadano?», apostrofa Gabe rabbiosamente. Per tutta risposta, Gabe mi stringe a sé con forza e sorride a Luc con aria superiore, ma nei suoi occhi leggo incertezza. Affondo nel suo abbraccio e mi lascio ricoprire dalla sua neve estiva. Non voglio più pensare a niente.
Capitolo 18 Angeli e demoni Frannie Quei due sono una comica. Sono così impegnati a guardarsi in cagnesco che non si accorgono di quanto si somigliano. Uno è un bel tenebroso e l’altro mi acceca col suo splendore, ma tolto questo… Sto iniziando a capirci qualcosa, finalmente. Durante quest’ultima settimana, dopo avermi spiegato come stanno le cose, sia Luc che Gabe hanno smesso di starmi addosso, lasciandomi il tempo per pensare. E Gabe si è fatto da parte. Non restiamo praticamente mai da soli, e a mala pena mi tocca, cosa di cui potrei non essere così contenta. Non gli ho chiesto perché, ma immagino che il commento di Luc sul perdere le ali abbia sortito il suo effetto. Siamo nella cucina di Gabe, e sospetto che il chiarore eccessivo sia una sua aggiunta. Lui e Luc si guardano con aria di sfida. «Dopo tutto quello che hai visto, non capisco come tu possa avere ancora questo atteggiamento. L’unico motivo per cui l’Onnipotente non manda un altro diluvio è che il primo è stato inutile». Gabe scuote la testa. «Ogni giorno vengono compiuti atti che smentiscono quello che dici, gesti di grande umanità, che scaturiscono dal più puro altruismo». «Non sono d’accordo. Non esiste l’altruismo. Dietro ogni atto di cortesia c’è sempre un tornaconto». «Dovresti prenderti meno sul serio». Alzo gli occhi al cielo. «Lascialo perdere, Gabe, è senza speranza». Apro il libro di matematica sul tavolo, spingendo da parte la vaschetta di gelato vuota. «So che per voi due sono inezie, ma i test di fine anno iniziano domani, e io devo studiare se voglio superarli e andare alla UCLA». Luc mi guarda e sorride. «Ma perché proprio alla UCLA?» «Cosa vorresti dire?» «Sono solo curioso di sapere cosa ti spinge ad andare a cinquemila chilometri di distanza». «Be’, in parte la distanza. Ma la ragione principale è che hanno la miglior facoltà di Relazioni Internazionali del Paese, e che in seguito mi potrei specializzare in scienze politiche, o studi mediorientali». Luc alza un sopracciglio. «Sì, ma per fare cosa?». Mi sento avvampare. «Penso che la maggior parte dei casini al mondo siano causati dalle incomprensioni. La gente non riesce a comunicare. Sai, a causa delle differenze culturali e religiose. Insomma, roba così. È per questo che ho iniziato il progetto di corrispondenza col Pakistan. Volevo capire. Quindi… ora vorrei fare qualcosa di più grande, non so ancora bene come…». Gabe sorride, e la sua luce mi abbaglia di nuovo. «Obiettivi elevati». «Smettila», dico sempre più imbarazzata. So che suona stupido, ma è quello che ho sempre sognato di fare. Sono sempre stata brava a parlare con le persone e ad aiutarle a trovare dei punti in comune. Persino con Luc e Gabe, anche se in questo caso non conta, visto che il loro punto in comune sono io. «E pensi davvero di fare la differenza?». L’espressione di Luc ora è seria. «Magari no. Ma tentare non nuoce», rispondo giocherellando con la penna. «Tu farai la differenza, Frannie». Di colpo Gabe è serio quanto Luc. «Ah davvero? Non so se ne avrò l’opportunità». Luc e Gabe si guardano con diffidenza. Sanno che ho ragione. Poi gli occhi di Luc si fanno duri, anche se sotto la superficie sono pieni d’ansia. «Lega la sua anima». «Sei ancora più stupido di quanto non sembri», dice Gabe con un sorriso beffardo. «Cosa te lo impedisce?». L’espressione di Gabe si fa cupa, e i suoi occhi si posano su di me. «È Frannie che me lo impedisce». Lo stomaco mi schizza in gola. «Scusate un attimo. Come posso avere una vita se sono legata al Paradiso? In che modo sarebbe meglio dell’Inferno? ». Luc si sforza di trovare le parole giuste. «L’Onnipotente…». Esita e in cerca di conferma guarda Gabe, che annuisce. «Non ti userebbe in modo così… meschino». «Sì, ma ha comunque intenzione di usarmi. Non sarò più padrona della mia vita». Rabbia e risentimento stanno per prendere il sopravvento, così le ficco nel mio vaso di Pandora. «Non voglio essere né Mosè, né Hitler. Voglio essere Frannie». Gabe interviene. «Se sei legata al Paradiso, io ti posso proteggere. Sarebbe estremamente difficile invertire il legame, e prima o poi smetterebbero di provarci. Ma se resti così continueranno a venire a cercarti». «Così come faranno i tuoi». <strong>Il</strong> mio cuore diventa pesante: non c’è via d’uscita. Improvvisamente mi sento in trappola, e vengo presa dal terrore. Torno al libro di matematica, che sfoglio con mano tremante. «Allora, voi la capite questa roba?», dico cercando di cambiare discorso. Luc si sofferma a pensare un istante poi raccoglie l’invito. «Su quale stai lavorando?», dice girando il libro verso di sé. Volto la pagina sotto alle sue dita, e lui tira via la mano di scatto. «Ahi!». «Ahi? Stai scherzando, vero?», dice Gabe quasi ridendo. Luc ci mostra la mano e vedo una piccola goccia di sangue cremisi che esce dalla punta del suo dito medio. Si è tagliato con la carta. «Be’, vale come risposta», dice Gabe. Luc continua a fissare la goccia che cresce, inebetito. Si gira verso di me con un sorriso timido e avvolgendomi la nuca con l’altra mano, mi bacia. Quando mi lascia andare, guardo nei suoi occhi sorridenti. «Che cosa mi sono persa?», dico quasi senza fiato e molto confusa. «I demoni non sanguinano», dice trionfante. Gabe è cupo e quando Luc mi lascia andare cerco di non sentirmi in colpa. «Neppure gli angeli», dice.
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