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continua zia Mariedda. Gioca <strong>di</strong> retorica, ma intanto pensa<br />
una linea <strong>di</strong> condotta, anche se sa che io lo so.<br />
– E rispon<strong>di</strong> alla domanda del sindaco, femmina strologa<br />
– la sgrida il marito: – O hai paura <strong>di</strong> <strong>di</strong>re che quel<br />
dopopranzo rubavi favette a Massimo Demontis?<br />
– Zitto tu, asino vecchio, che fai sempre come Maciocco,<br />
quando <strong>di</strong>ci niente e quando <strong>di</strong>ci troppo.<br />
– Sì sì, ma qui qualcuno a suo tempo non ha detto nulla<br />
perché aveva detto troppo.<br />
– Mi’, fuma il toscano e zitto, che da vecchio ti stai fumando<br />
il giu<strong>di</strong>zio.<br />
– Pelame e vizio, vedo che t’è rimasto, d’asina che teme<br />
il basto.<br />
Col caffè finisce il gioco dei vecchietti al bisticcio coniugale<br />
in pro dell’ospite. Io abbasso il tono a livelli più<br />
prosaici. Vengo al sodo. Cosa ha visto veramente zia<br />
Mariedda?<br />
– Ero all’altezza della Porta del Giglio...<br />
– A rubare fave in terra dei Demontis – s’intromette<br />
il marito: – Perché non glielo <strong>di</strong>ci al sindaco?<br />
– All’altezza della Porta del Giglio, stavo <strong>di</strong>cendo, dove<br />
l’alluvione ha mangiato l’asfalto, e quei tre sulla moto<br />
hanno sollevato...<br />
– Nuvole <strong>di</strong> polvere, lo sappiamo – s’intromette il marito.<br />
– Cavalli <strong>di</strong> polvere, e puzza <strong>di</strong> peto d’aglio in processione,<br />
hanno sollevato, passando come maestrale a ventila<br />
finita. E come faccio a <strong>di</strong>re chi erano, io? Quello che ho visto<br />
ho detto, al giu<strong>di</strong>ce e ai carabinieri. Che c’entra cosa<br />
stavo facendo io? Da sola m’imputavo <strong>di</strong> furto <strong>di</strong> favette?<br />
– Non li ha riconosciuti? Almeno uno?<br />
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– Io l’ho detto, quel che ho visto. E per la buonanima<br />
del figlio <strong>di</strong> Lisabetta Pistis morto in mano alla giustizia,<br />
l’ho detto e ripetuto. E se il sindaco non sa che cos’ho detto<br />
io a suo tempo, è perché il sindaco non dà retta a ciò<br />
che la gente <strong>di</strong>ce, figlio mio, e bene fai, ché così la notte<br />
dormi.<br />
– E <strong>di</strong>glielo al sindaco, che lo vuole sentire cos’hai visto,<br />
moglie strologa.<br />
– Io quel giorno uno dei ragazzi l’ho riconosciuto, a<br />
parte quel poveretto buonanima. Sì, l’ho riconosciuto.<br />
– E chi era?<br />
– Era il figlio <strong>di</strong>scolo <strong>di</strong> Massimo Demontis. È lui che<br />
m’ha aizzato contro la motocicletta, perché secondo lui<br />
rubavo fave al padre. Io non li conosco questi ragazzi<br />
d’oggi. Solo per parenta<strong>di</strong> li conosco. Ma il figlio <strong>di</strong>scolo<br />
<strong>di</strong> Massimo Demontis me l’ha detto lui chi era, e s’è fatto<br />
padrone delle fave. Due su tre posso <strong>di</strong>re chi erano. Il<br />
terzo no.<br />
– E perché non ha parlato del Demontis alla giustizia?<br />
– Figlio mio stimato, figlio mio bello, io nella casa dei<br />
Demontis ci ho fatto la serva per trent’anni. E ne hanno<br />
visto questi occhi <strong>di</strong> <strong>di</strong>sgrazie in quella famiglia. E poi è<br />
nato questo figlio. Il fiore <strong>di</strong> <strong>Fraus</strong>. Ma questo a me, <strong>di</strong><br />
aizzarmi la motocicletta, il figlio <strong>di</strong> Massimo Demontis<br />
non me lo doveva fare.<br />
Zia Mariedda piange:<br />
– Non dovevo vederlo questo alla mia età.<br />
– L’intero e la metà, gli mangi il verme ro<strong>di</strong>tore, a chi<br />
ci ha tanto cuore da spegnere i figli <strong>di</strong> cristiani – ha concluso<br />
il marito. E poi, dopo, zia Mariedda m’ha incoraggiato,<br />
andandomene:<br />
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