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L'oro di Fraus - Sardegna Cultura

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Non ricordo perché ero in città quella mattina. Ci vado<br />

spesso da <strong>Fraus</strong>, per cose del comune. Sul marciapiede<br />

del Largo aspettavo il verde dei pedoni. La voce m’ha fiatato<br />

qui all’orecchio: per me, non per la gente intorno:<br />

– Attraversi normalmente, signor sindaco. Dall’altra<br />

parte si fermi alla prima colonna dei portici. No, non si<br />

volti, signor sindaco. Io le sto <strong>di</strong>etro. Le ho detto <strong>di</strong> non<br />

voltarsi. Avanti, è verde.<br />

Ho attraversato docile. Ho i pie<strong>di</strong> piatti, io, e un po’ <strong>di</strong><br />

pancia, e in quel momento un accesso <strong>di</strong> nausea. Mi son<br />

fermato all’inizio del colonnato. Terroristi, ho pensato: sono<br />

<strong>di</strong>ventato un bersaglio.<br />

– Si volti adesso, signor sindaco.<br />

Mi volto. È un tipo alto, allampanato, e mi guarda con<br />

ghigno <strong>di</strong>vertito.<br />

– Ma che scherzo è questo?<br />

– E chi le <strong>di</strong>ce ch’è uno scherzo, signor sindaco?<br />

Non mi piace come <strong>di</strong>ce «signor sindaco». Faccio per<br />

piantarlo e lui mi taglia la strada, mi prende sottobraccio:<br />

– Cammini con me, così. Bene, come due vecchi amici,<br />

fino al prossimo bar. Ha bisogno <strong>di</strong> qualcosa <strong>di</strong> forte,<br />

signor sindaco.<br />

Stretta convincente. Parla un italiano settentrionale, e<br />

anche questo mi pare una minaccia.<br />

– Bravo, signor sindaco. Lo sapevo che lei è persona ragionevole.<br />

So tante <strong>di</strong> quelle cose io sul suo conto. Non<br />

l’immagina neppure, signor sindaco. Senza esagerare, noi<br />

due possiamo <strong>di</strong>rci vecchi amici.<br />

– Senta, lei, adesso basta, o mi molla subito o io strillo.<br />

– Come una vecchina scippata?<br />

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Provo a forzare la presa e l’energumeno mi molla:<br />

– S’accomo<strong>di</strong>, prego: – e fa cenno alla porta d’un bar.<br />

Entriamo, ci se<strong>di</strong>amo a un tavolino.<br />

– L’avverto – <strong>di</strong>co in panico: – lei mi <strong>di</strong>ce subito chi è<br />

e che cosa vuole, e smette questo comportamento...<br />

– In<strong>di</strong>sponente, lo ammetto, signor sindaco: in<strong>di</strong>sponente.<br />

Ma <strong>di</strong>ciamo che sono un ufficiale <strong>di</strong> polizia. Non è<br />

esatto, ma non è falso. Lasciamo la cosa nel mistero dell’inizio,<br />

laggiù al semaforo.<br />

E ride. Io non rido. Mi chiede cosa bevo:<br />

– Un caffè, per favore – <strong>di</strong>co al cameriere, e solo a lui.<br />

– Ma dov’è finita la sua memoria famosa, signor sindaco.<br />

Eh sì, non sei più quello d’un tempo, nèh, Puntiglio?<br />

– Ma chi <strong>di</strong>avolo... – Puntiglio? Ma Puntiglio era il<br />

mio soprannome al collegio salesiano, in Piemonte, qualche<br />

millennio fa. E non riuscivo a ritrovare nessun adolescente<br />

degli anni Cinquanta in quel viso <strong>di</strong> quarantenne<br />

strafottente lì davanti:<br />

– Ma chi sei?<br />

– Io t’ho riconosciuto appena t’ho intravisto, dal <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>etro, t’ho riconosciuto alla camminata. Non sei cambiato<br />

proprio.<br />

E finge rammarico perché io non lo ravviso. Sfido io<br />

che lui mi riconosce, con questi pie<strong>di</strong> piatti:<br />

– Per favore, chi sei?<br />

– Sono Miroglio, Miroglio Giuseppe.<br />

– Miroglio? Chi? Miroglio? Ma sì, Miroglio, Badoglio,<br />

Badoglio il Fintone! ... E tu, smidollato d’un bogianèn, per<br />

<strong>di</strong>rmi che hai riconosciuto la mia camminata da riformato<br />

mi fai prendere questi spaventi. Ma guarda un po’ questo.<br />

Che ci fai qui da noi?<br />

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