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– E quanti così ci manderanno lettere anonime dall’al<strong>di</strong>là,<br />
sicuri <strong>di</strong> farla franca? – mi fa il dottor Zammataro<br />
mentre verbalizza la deliberazione sulle memorie.<br />
– Anche i me<strong>di</strong>ocri hanno una biografia, dottore.<br />
– Sì, ma me<strong>di</strong>ocre, signor sindaco.<br />
– Be’, ma, per me<strong>di</strong>ocri che siamo, che male c’è se<br />
qualcuno si prende il gusto <strong>di</strong> mandare uno sberleffo dall’al<strong>di</strong>là?<br />
O è un lusso <strong>di</strong> troppo, per gente come noi?<br />
Mio figlio e il suo amico del cuore, Giacomo, il figlio<br />
del barbiere, un pomeriggio giocano insieme in casa nostra.<br />
Armeggiano fracassoni con la fisarmonica <strong>di</strong> Mariano.<br />
L’ho comprata a zia Lisabetta, anche per interessare mio<br />
figlio a una tastiera. Dopo gli entusiasmi iniziali, ogni<br />
tanto ha ritorni d’interesse. Ma un loro <strong>di</strong>alogare serioso<br />
attira la mia solerzia pedagogica:<br />
– E tu ci pensi che moriamo, tutti quanti, anche tu e io?<br />
– Però <strong>di</strong>cono che c’è un’altra vita dopo che uno è stecchito.<br />
– Be’, sì, in cielo o all’inferno, a seconda.<br />
– Io non voglio andare da nessuna parte. Voglio fare<br />
l’intellettuale. Gl’intellettuali non credono all’altra vita.<br />
– E chi sono gl’intellettuali?<br />
– Quelli che lavorano con la testa. Il mio babbo è uno<br />
che lavora con la testa.<br />
– Anche il mio babbo è intellettuale. È barbiere, lavora<br />
con la testa.<br />
– Ma no, non con quella testa...<br />
È accorsa mia moglie, in agitazione:<br />
– Sentito quei due?<br />
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– Sentito cosa?<br />
– I <strong>di</strong>scorsi <strong>di</strong> tuo figlio con Giacomo, <strong>di</strong> là. E tutto<br />
per colpa <strong>di</strong> quella fisarmonica che gli hai comprato.<br />
– Come sarebbe, colpa della fisarmonica?<br />
– Sì, la fisarmonica d’un morto, d’un morto male.<br />
Mi arrabbio:<br />
– Eccola lì, l’intellettuale, matematica e fisica, una della<br />
specie <strong>di</strong> quelli che mandano le astronavi su nel cielo.<br />
– Tu, continua pure a chiederti perché si mandano le<br />
astronavi in cielo, ma preoccupati ogni tanto dei pensieri<br />
<strong>di</strong> tuo figlio.<br />
Noi ci sfottiamo così, quando non bisticciamo veramente.<br />
Ma io stavo braccando un ricordo che tornava con<br />
ben altri rimorsi. E vado dai due musici filosofi. Interrogo<br />
mio figlio:<br />
– Ti ricor<strong>di</strong> quelle storie <strong>di</strong> marziani alla Casa dell’Orco?<br />
– Gliele ho raccontate tutte io – trilla Giacomo il prode:<br />
– Però quelli non erano marziani.<br />
Mio figlio, zitto zitto, mi prende per mano e mi fa<br />
strada con un’aria come quando fa il saputo, si mette a<br />
trafficare col suo computerino e fa apparire sullo schermo<br />
i dati del suo archivio Space Invaders:<br />
– Ecco qua.<br />
Ci ho messo molto a leggere e a capire, su quello schermo<br />
nero e verde, ma lì c’era tutto quanto mi serviva sapere<br />
e ricordare, con nomi e date. Un nome in particolare:<br />
Massimino Piras, pastore con cussorgia dalle parti della Casa<br />
dell’Orco, e <strong>di</strong> suo figlio pastorello.<br />
– Lo sapevo – fa il padre – lo sapevo: presto o tar<strong>di</strong><br />
qualcuno doveva venire a chiedermi le cose. Ma se venivate<br />
prima io non vi <strong>di</strong>cevo proprio niente.<br />
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