Speciale Sardegna - Centro Studi e Ricerche Aleph
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Progetto Babele Dodici<br />
Dall’incipit di “Lughe de Chelu (e jenna de bentu)”<br />
Bastogi Editrice Italiana, 2003<br />
“Quell’insenatura; bocca di leone estesa dalle pendici<br />
rocciose digradanti ad est ed i voli di sommi gabbiani<br />
ciondolanti e pigri, rollanti su nuvolepietre, fichi d’India<br />
svettanti tra i ciuffi di mirto ed il canto continuo di cicale in<br />
amore. L’odore era dolceamaro, inconfondibile ed<br />
indimenticabile, tale da saggiarlo con l’olfatto e portartelo<br />
appresso, chiuso nella mente pure lontano e comunque e<br />
sempre così da sentirlo accanto e solo tuo ad ogni soffio di<br />
maestrale. Le barche come gusci alzavano le vele prima<br />
dell’affacciarsi del sole, salutavano i voli sparsi e il guizzo<br />
dei pesci scivolando costanti e meste per una bella distanza<br />
dalla riva, non so dirvi a quanto, e urlavano con l’ululare dei<br />
pescatori che gettavano le reti. Noi bambini, spesso,<br />
scrutavamo<br />
affascinati le partenze degli Ulisse ed avevamo un rito per augurare loro una buona<br />
pesca; tutti, in cerchio, giravamo fino a che le barche scomparivano all’orizzonte e<br />
giravamo con le braccia alzate al cielo, verso Dio, i visi ancora pieni di sonno ma<br />
bruciati dal sole, sillabando frasi senza capo né coda. Alla fine, mentre le ultime lucciole<br />
coraggiose ma già in affanno spengevano le proprie luci in omaggio a quella dell’aurora,<br />
madre, colta nel suo apogeo, saltavamo tutti assieme per crollare sulla sabbia<br />
all’indietro, sussultando dalle risa. Ho sempre pensato che un pezzo di vita, un alito<br />
d’anima d’ogni pescatore si staccasse da lui, quando la sua barca per un qualunque<br />
motivo andava distrutta. Era come maciullare una gamba o tagliare un braccio al<br />
cristiano di turno; la sua stessa ragione era chiusa in quel guscio, nelle vele dapprima<br />
meste eppoi erette forti, vigorose, possenti,gravide di Eolo. Perdere la propria barca, per<br />
quei poveri Cristi d’acqua salata, voleva dire perdere la dignità, cognizione<br />
dell’esistenza. E chi non capiva questo non avrebbe mai potuto comprendere il mare<br />
sardo e quel fascino pagano, sentirlo orgogliosamente palpitare e vibrare nella propria<br />
fibra. Partiva dal golfo strabico, rammento, il mio mare per adagiarsi in amplessi lenti di<br />
spume colla rena che placcava, invadeva, empiva. Giuseppe sfidava il vento in silenzio,<br />
ed i silenzi infiniti e pieni di muti segreti del mater pelago amante e figlio e padrone;<br />
accalcato come un lupo tra gli scogli assaporava i tormenti e i sali, i soleluna*, le voci.<br />
Perché il mare ha le voci, sapete; perché, anche se non tutti lo sentono, il mare a volte<br />
grida e ti chiama a sé, forse perché si sente solo o forse semplicemente perché, nella<br />
sua grandezza, vuole apparire ancora più grande e potente, ed allora, di tanto in tanto,<br />
s’inghiotte un agnello di passaggio. E’ il suo Modus Vivendi. Una volta rischiò anche<br />
Giuseppe di venirne ingollato, ma qualcuno lo impedì, un bue marino chissà di dove e<br />
pronto comunque a staccarlo da un Nettuno Nessuno affamato. Per infinite notti<br />
Giuseppe rammentò la presa vigorosa dell’uomo ai suoi capelli, lo strattonare nelle<br />
acque agitate a mulinello, il buio eppoi il riaffiorare alla vita ed alla flebile luce della<br />
notte, quel faccione giallo e immenso ch’era la luna lì, stampato sul firmamento, ed il<br />
cuore e ancora la voce del mare e il suo bisbiglio: “stavolta non ci sono riuscito, ad<br />
acchiapparti, ma domani…”.<br />
La tragedia, apice della narrazione, è imminente; respirabile nell’inquietudine del mare<br />
servo e padrone sardo. Tragedia, Vita-Morte/Bene-Male (buio per la Luce) che in Mater<br />
Doloris –mama de sa suferentzia ho voluto accentuare, legandola al potere di una<br />
Madre Natura che muove la terra a dispetto del raziocinio, della conoscenza umana. E’<br />
l’eterna, impari lotta tra Madre/ Terra e Donna/ Madre, Madre della Sofferenza; femmine<br />
creatrici primordiali, forse identificabili, gemelle e vasi, destinate al dolore ma,<br />
comunque, portatrici di Vita. Ritengo Mater Doloris (la sua prima stesura risale al 1994,<br />
riveduta nel 1998 e aggiunta della parte sarda; la “mama de sa suferentzia”, che scorre<br />
parallelamente, stridente, all’influenza narrativa americana e anglosassone di “Mater<br />
Doloris”, nel 2004) romanzo sperimentale – esperimento avviato nel 1994 con Passaggi<br />
per l’Anima; inconsapevole antesignano di Lughe de Chelu (e jenna de bentu)-: fusione<br />
tra culture e luoghi, lingue, binari diversi che, al culmine della narrazione, s’incrociano<br />
toccandosi soltanto una volta nel libro (L’Anna sarda, figlia de sa mama de sa<br />
suferentzia, l’Elvira, e che, divenuta donna, lavora come cameriera in un pub londinese.<br />
Lì incrocerà per un istante tempo, cultura e destini con l’Anne inglese, figlia della Mater<br />
Doloris; la prima, semplicemente, le servirà la colazione. La seconda, donna in carriera,<br />
ne noterà dolcezza di modi e costumi diversi: Tu sei donna, tu sei diversa. Intuisco che<br />
hai qualcosa dentro che ti ha fatto soffrire,hai conosciuto il dolore, come me.E solo<br />
questo ci accomuna e, per questo, d’istinto, mi piaci. Ma l’incrocio dei destini tra Mater<br />
Doloris e Mama de sa Suferentzia finisce nell’istante stesso in cui avviene.<br />
- 21 -<br />
© Giovanna Mulas Figlio mio,se devo essere sincero,di tutto quello che c'è qui dentro ho capito ben poco.Non è poi così grave,perchè io mi occupo di stoffe e se<br />
Per concludere, una cosa<br />
che ti piace in Progetto<br />
Babele, ed una che vorresti<br />
che cambiasse, nella<br />
rivista o nel sito.<br />
Agli amici si chiede di<br />
cambiare, a meno che i loro<br />
difetti divengano irrespirabili<br />
e pericolosi per gli altri?<br />
Progetto Babele è<br />
chiaramente un ottimo lavoro<br />
d’équipe; di professionalità e<br />
creatività indispensabili nel<br />
panorama culturale attuale. I<br />
risultati raggiunti dal vostro<br />
staff fino ad oggi lo<br />
dimostrano.<br />
E siete degli amici.<br />
© Giovanna Mulas<br />
per gentile concessione<br />
tu non fossi quello che sei io non ascolterei mezza canzone delle tue; oh, certo, parli di una donna e parli di te, perchè di altro non sai parlare<br />
da quando sei nato. Ma preferisco Dante e Beethoven, tu mi piaci un po' di meno. Stai sempre a lamentarti di tutto quello che succede ( a te ),<br />
e non hai una parola per il mondo, per la gente, per quelli che lavorano e sono normali, e per questo solo, forse, già tanto meglio di te.<br />
Una cosa sola ti ammiro: combatti una battaglia perduta; i tuoi valori sono stati dimenticati da troppo tempo. Tu credi e oggi non bisogna<br />
credere, bisogna prendere, tu ami e oggi bisogna essere "amanti"; tu hai Dio e un desiderio infinito di ordine: oggi vince chi l'ordine lo<br />
sovverte. Ecco, forse solo questo ti ammiro, sei controcorrente con la tua generazione e la tua battaglia è perduta.<br />
Secondo me ti ha fatto male la laurea in lettere antiche: avvocati e ingegneri pensano al loro mestiere e raramente si sognano di essere al<br />
centro dell'universo.<br />
Comunque, fra i tanti, a me non è capitato il più stupido. R. Vecchioni da "Parabola" (1971)