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Speciale Sardegna - Centro Studi e Ricerche Aleph

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L’inganno<br />

di Roberto Tosato<br />

Non che manchino i negozi di tabaccai nei paraggi di casa,<br />

pero’ il tabaccaio della stazione ha sempre esercitato un<br />

certo fascino su di me. Quasi che fosse paragonabile ad un<br />

pronto soccorso del viaggiatore: accendini, regali dell’ultimo<br />

momento con le loro caratterisctiche assurde, caramelle alla<br />

menta di tutti i tipi e per i piu’ speranzosi lotterie varie per<br />

altrettante improbabili vincite.<br />

Mi sovviene or ora il ricordo di una vicenda occorsami<br />

diversi anni fa. E’ proprio vero che a volte, ed anche piu’<br />

spesso, la realta’ puo’ superare la fantasia. La vicenda si<br />

svolse il quella torrida estate del 1985, quando per mesi,<br />

se ben ricordo tre, non piovve e la calura porto’ pena a<br />

molte persone mentre ad altre porto’ il sapore dell’ ”estate<br />

come era una volta”. La vicenda si svolse in un tardo<br />

pomeriggio d’estate quindi; un cielo cupo e carico di nubi<br />

come non si vedevano da mesi, aria calda di scirocco che<br />

prometteva, una pioggia torrenziale che pero’ da cento<br />

giorni non si decideva a precipitare. Ero andato alla<br />

stazione per la mia solita fermata bi-settimale di acquisto<br />

sigarette. Non che manchino i negozi di tabaccai nei<br />

paraggi di casa, pero’ il tabaccaio della stazione ha<br />

sempre esercitato un certo fascino su di me. Quasi che<br />

fosse paragonabile ad un pronto soccorso del viaggiatore:<br />

accendini, regali dell’ultimo momento con le loro<br />

caratterisctiche assurde, caramelle alla menta di tutti i tipi<br />

e per i piu’ speranzosi lotterie varie per altrettante<br />

improbabili vincite. Tornavo alla macchina passando per il<br />

sottopassaggio che come ben si sa non sarebbe<br />

accessibile alle persone non munite di biglietto ferroviario.<br />

Dicevo che tornavo verso la macchina rigorosamente in<br />

divieto di sosta, lasciata li’ dopo un furtivo sguardo nel<br />

raggio dei pochi metri circostanti e confidando che con<br />

l’imminente pioggia anche i nostri beneamati tutori<br />

dell’ordine sarebbero stati piu’ clementi se non per i<br />

possessori delle auto, almeno verso loro stessi. L’atrio<br />

principale della stazione era praticamente deserto, e scesi<br />

le scale del sottopasso, gingillando con le dita un<br />

pacchetto di sigarette ancora chiuso. La luce del<br />

sottopasso era di quel giallino scialbo, come in tutte le<br />

stazioni, e il tunnel vuoto apriva ad intervalli regolari le<br />

rampe che salivano ai vari binari. Binario uno, binario due<br />

binario tre e cosi’ via fino all’ottavo. Piu’ in la’ era l’uscita<br />

verso “piazza del popolo” dove avevo, per l’appunto,<br />

parcheggiato la macchina. Era li’ che mi dirigevo. Quasi in<br />

fondo al tunnel una donna camminava tirandosi a presso<br />

un trolley. Non era certo facile giudicarne ne’ l’eta’ ne’<br />

tantomeno l’aspetto. Di spalle poi sarebbe sato ancor piu’<br />

difficile ! Camminava con un andatura calma, quasi<br />

flemmatica di chi ha tempo e non ha mete se non se<br />

stessi. Non so di preciso cosa successe in quel momento,<br />

certo e’ che cominciai a correre verso di lei. Le suole delle<br />

scarpe di gomma, sul fondo sintentico antiscivolo del<br />

pavimento mi davano l’impressione del pantano, come in<br />

quei sogni dove l’affanno a correre e l’immobilita’ sono un<br />

tutt’uno. Forse un passo svelto sarebbe stato piu’ che<br />

sufficiente a raggiungerla, eppure correvo. Poi,<br />

d’improvviso urlai :<br />

“madame, madame!”<br />

Rimasi sorpreso dalla mia voce e dal significato della mia<br />

voce rotta e persa: il mio corpo che accelerava verso di lei,<br />

il cuore che batteva, il respiro affannato. Si era voltata<br />

verso di me, con una torsione del busto e il trolley sempre<br />

nella solita direzione di prima. Prima uno sguardo attonito,<br />

poi un magnifico sorriso e io li’, che ansimavo senza<br />

neanche piu’ voce per dire qualcosa, una qualsiasi cosa..<br />

Progetto Babele Dodici<br />

- 34 -<br />

Non avevo davvero piu’ fiato. La donna lascio’ il bagaglio e<br />

con uno slancio subito frenato i abbraccio’ esclamando:<br />

“Rrrrrrrrrenatooooo”.<br />

Ora , puo’ essere alquanto interessante sapere che io mi<br />

chiamo Luca.<br />

La “R” cosi forte del suo “Renato” seguito dalla maniera<br />

calda di pronunciarlo indicavano una provenienza di certo<br />

straniera, ma quale fosse questa provenienza davvero non<br />

lo so. Insomma forse la parola “renato” era portatrice di<br />

piu’ informazioni di “luca” tuttavia mi si apriva una fila di<br />

domande tutte senza alcuna risposta..<br />

Mi aveva riconosciuto come Renato, forse un suo amico<br />

che non vedeva da tanti anni e con qualche<br />

rassomiglianza con la mia persona? Oppure qualcuno che<br />

non aveva mai visto e aspettava dopo una “combine” di<br />

qualche agenzia di cuori solitari ? Non so. No, questa<br />

ultima ipotesi non mi pareva possibile, non mi convinceva:<br />

una cosi’ bella donna non poteva certo andare in<br />

un’agenzia matrimoniale e certo non ne aveva bisogno.<br />

L’unica cosa certa e’ che io non ero, e non sono renato. Lo<br />

so, ne sono certo: io sono LU-CA. Non mi baleno’ neanche<br />

per un attimo l’idea di dover chiarire l’equivoco con la<br />

donna, visto che ero stato io ad innescarlo con quella folle<br />

corsa cominciata senza significato. E cosi’, preso dalla<br />

foga di quella situazione assurda capii che dovevo agire in<br />

maniera repentina prima che arrivasse renato, quello vero.<br />

Le dissi che avevo la macchina parcheggiata li’ fuori e lei<br />

mi segui’ senza indugio. Le nuvole, sempre li’, sempre<br />

stessa storia, tanto buio e niente acqua; caldo e afa: a<br />

piacere. Salimmo in macchina, e li’ guardai lei negli occhi,<br />

sorridendo e sentendomi sempre piu’ renato e sempre<br />

meno luca. La baciai. Siamo onesti, tentai solo di farlo,<br />

cercando altresì in maniera goffa di prendere il sua tetta<br />

destra nella mia mano sinistra. Il risultato fu disastroso<br />

Donna che beve un caffè – © Salvatore Romano

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