Speciale Sardegna - Centro Studi e Ricerche Aleph
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IL ROMANZO A PUNTATE<br />
Tredicesima puntata<br />
La contabilità delle scopate<br />
La base ritmica di Over my shoulder, di Mike & the Mechanics,<br />
ebbe uno strano effetto: ritrovai vigore e lucidità, ma con una<br />
latente tendenza alla dissociazione da tutto ciò che non si fosse<br />
ingabbiato nei pochi centimetri cubici del mio cervello. Era musica,<br />
ma sembrava cocaina.<br />
Davo una scorsa alle agenzie che scorrevano sul videoterminale e<br />
battevo le mani a tempo sulle cosce.<br />
Agguato a Caltanissetta, morta guardia giurata. ANSA 17,39.<br />
Scuotevo la testa, c’era un bel drumming asciutto e penetrante.<br />
Benzina, nuovi rincari in vista. AGI 17,51.<br />
Il coro…saranno state vocalist di colore di certo. Si riconosce il<br />
timbro, noi bianchi non avremo mai questa profondità vocale.<br />
Flash. Misteriosa morte a Palermo. ANSA 18,01.<br />
La chitarra era lo strumento fondamentale, quel brano era stato<br />
costruito attorno a un giro di accordi semplicissimo.<br />
Computer, la Prider lancia rivoluzionario programma anti-hackers.<br />
ADNKRONOS 18,03<br />
Cercai la custodia del cd per leggere le note sui musicisti.<br />
Misteriosa morte a Palermo (2). Forse suicidio. ANSA 18,07.<br />
La canzone si allontanò, lasciandomi in silenzio con un residuo di<br />
delirio ritmico nelle braccia. Uscito dalla stanza, dribblai un paio di<br />
colleghi che perpetravano il rito del pellegrinaggio al bar e mi<br />
diressi al magazzino della rotativa. Gli ultimi due gradini di una<br />
scala unta ospitarono i miei glutei. Ero in quella che per anni<br />
avevo considerato la garçonniere delle idee: una zona quasi<br />
deserta del giornale, dove trovavo intrigante dedicarmi con<br />
affezione a pensieri in giacenza. Da quando avevano spostato i<br />
distributori automatici di merendine e gelati, era rimasto solo un<br />
catorcio che rigurgitava bottiglie di gazzosa in cambio di un paio di<br />
monete e di qualche manata per digerirle.<br />
Stappai la bottiglietta opaca e panciuta. Una leggera schiuma<br />
all’aroma di limone coprì l’odore di grasso delle rotative.<br />
Parcheggiato su quel binario morto, sembravo un barbone in<br />
villeggiatura. Nessuno si accorse della mia presenza. E, quel che<br />
è professionalmente imbarazzante, della mia assenza dalla<br />
scrivania.<br />
Un’ispirazione, che avrei potuto definire clandestina, convogliò i<br />
pensieri su Clara. Rumore di ferraglia, nero nella penombra, nero<br />
inchiostro sul pavimento. Clara era lì, bianca e leggera.<br />
Catapultata da una fantasia presuntuosa in un ambiente sudicio,<br />
fluttuava sorridente, attraversando quell’aria cupa e compatta. La<br />
sua risata era sempre più aperta, insistente. Cresceva, cresceva,<br />
fino a diventare sguaiata. E più saliva quel suono ora volgare, più<br />
Clara si avvicinava alla melma che scoprivo attorno ai miei stessi<br />
piedi. I suoi occhi sgranati cercavano qualcuno o qualcosa. I suoi<br />
veli chiari e trasparenti toccavano il terreno impregnandosi di<br />
fango nero che, come sabbia con un’ancora, tentava di trattenerli.<br />
Allungavo un braccio per afferrarla, ma cento altre mani la<br />
circondavano, trattenendola, palpandola, esplorandola. I suoi<br />
occhi si socchiudevano. Clara si immergeva nel fango con sorriso<br />
estatico.<br />
Un rigurgito di gazzosa archiviò quella visione. Le bollicine<br />
pungenti non erano accettate con gioia dal mio apparato<br />
digerente. Ma, in quell’ambiente, erano parte fondamentale di una<br />
clessidra biologica delle emozioni: cadenzavano i tempi e,<br />
principalmente, assicuravano repentini risvegli.<br />
In un barlume di lucidità, come se al posto della gazzosa avessi<br />
bevuto un cocktail superalcolico, feci i conti col tempo. Otto mesi<br />
erano trascorsi dalla morte di Martin e dal suicidio di Vincenzo, tre<br />
giorni dalla scomparsa di Clara e Andrea.<br />
Passarono le ore. Mi mossi solo quando le rotative iniziarono a<br />
girare.<br />
Presi un giornale caldo di stampa per sapere quantomeno cosa mi<br />
ero perso.<br />
“Morte e mistero a Palermo. L’onorevole Lo Bruno è stato investito<br />
da un bus mentre era a piedi in una via del centro. Il conducente è<br />
stato interrogato per ore e sull’avvenuto gli inquirenti non hanno<br />
ancora le idee chiare. Alcuni testimoni infatti avrebbero riferito che<br />
l’onorevole si sarebbe gettato volontariamente sotto le ruote del<br />
mezzo. Tra lo sgomento di decine di persone, il corpo è stato<br />
scaraventato sul marciapiede…”.<br />
Progetto Babele Dodici<br />
TAKE FIVE<br />
DI GERY PALAZZOTTO<br />
- 80 -<br />
…<br />
Tredicesima puntata per il giallo Palermitano di Gery<br />
Palazzotto. Palazzotto è un giornalista appassionato di<br />
musica e nuove tecnologie. Attualmente lavora al Giornale di<br />
Sicilia dove è vice-redattore capo per la cronaca siciliana.<br />
La notte fu calda e scomoda. Mi illusi di non poter prendere sonno<br />
per via dell’estemporaneo pisolino abusivo negli scantinati del<br />
giornale.<br />
La verità era diversa. La morte dell’onorevole Lo Bruno aveva<br />
caricato la mia coscienza di un altro fardello. Perdevo pezzi di<br />
vita, quasi fosse una maledizione. Martin e Vincenzo erano andati.<br />
Clara e Andrea si erano volatilizzati. Marco quasi non mi salutava<br />
più. E ora Lo Bruno. Non mi aveva neanche dato il tempo di<br />
assaggiare il sapore acido del rincrescimento per una campagna<br />
di stampa profondamente ingiusta. Avevo sempre diffidato dai<br />
consuntivi, da quei momenti temporalmente recintati in cui, nel<br />
nome di un bisogno egoistico di autorigenerazione, si rileggono gli<br />
eventi col solo obiettivo di trovare una uscita di emergenza dalla<br />
realtà.<br />
Eppure mi ritrovavo con quelle figure intorno. Non era un esercizio<br />
mnemonico a ispirare questa pratica, ma uno strisciante senso di<br />
incompiutezza. Assistevo al cadere dei rami di un albero senza<br />
avere notizie sullo stato di salute del tronco. Mi mossi di scatto e<br />
lasciai il letto: andavo ad ascoltare una persona di cui non<br />
conoscevo neanche il nome.<br />
…<br />
L’odore dei limoni entrò dal finestrino aperto a metà, stemperando<br />
il tanfo di fumo di sigarette che avvolgeva l’auto. Arrivato allo<br />
slargo davanti al cancello, posteggiai sotto gli alberi che ormai<br />
conoscevo bene. Vidi il muro di cinta e tirai dritto.<br />
Stavolta si entra dalla porta principale: per l’uscita si vedrà.<br />
Un solo pulsante sulla placca arrugginita attaccata alla meno<br />
peggio sulla colonna a sinistra del cancello. Guardai, nessun<br />
nome. Chissà perché in questi momenti mi rendo conto di quanto<br />
stupido sia l’istinto, almeno il mio. Andare a cercare sul citofono il<br />
nome del proprietario di una villa in cui, nel migliore dei casi,<br />
giovani donne accettano di farsi palpeggiare da vecchi danarosi è<br />
come chiedere a un trafficante internazionale di eroina se ha<br />
pagato la tassa sui rifiuti.<br />
Bussai. Niente.<br />
Per attenuare la tachicardia, intrapresi una passeggiata nel raggio<br />
di un metro e mezzo attorno a un escremento rinsecchito di cane.<br />
- Desidera? – la voce mi colpì alle spalle mentre misuravo a<br />
passi la circonferenza del mio circuito.<br />
- Salve, mi scusi per l’orario. Ma qui credo non ci facciate caso<br />
– dissi.<br />
Era lui, l’uomo con la cicatrice. Era presumibile che in quella casa,<br />
che non era proprio la fattoria del Mulino Bianco, ci fosse un’uscita<br />
segreta, una via di fuga, un passaggio nascosto. Quindi mi<br />
astenni dal chiedere da dove fosse sbucato.<br />
- Ah, chi si rivede – disse l’uomo – credevo di essere stato<br />
chiaro. Ti avevo detto…<br />
- So bene cosa mi avevi detto. Ci davamo del tu.<br />
- Lascia stare, dimmi cosa vuoi – disse avvicinandosi.<br />
- Conoscevi Vincenzo, l’ex marito di Clara, vero?<br />
La domanda a freddo gli fece strizzare gli occhi, almeno così mi<br />
parve. Ero talmente impegnato a scalfire quella statua di acciaio<br />
che se anche avesse starnutito avrei interpretato il gesto come un<br />
segnale di debolezza o di ravvedimento.<br />
- Mah, può darsi. Magari di vista. Non ne sono certo, in città ci<br />
si conosce…Ci si conosce più di quanto si ammetta. A Palermo, in<br />
certi ambienti, anche un semplice rapporto di conoscenza è un<br />
reato.<br />
Estrassi dalla tasca la lettera di Clara e lessi.<br />
- …Dapprima, con Vincenzo, godevamo di questo gioco di<br />
specchi deformanti. Bastava cambiare angolazione e ci vedevamo<br />
trasformati. Era un espediente per procurarci quel brivido<br />
necessario al nostro modo di essere…Hanno cominciato assieme.<br />
Se hai conosciuto Clara, e l’hai conosciuta non so quanto nel<br />
profondo, devi dirmi qualcosa di Vincenzo – mi accorsi di aver<br />
alzato la voce.