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Speciale Sardegna - Centro Studi e Ricerche Aleph

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erano invece delle scultoree “amazzoni”, una bruna e<br />

l’altra biondissima.<br />

Osservavo perplesso e, ammetto, un po’ impaurito quella<br />

scena surreale e stentavo ad accettare l’evidenza dei fatti:<br />

per quella gente primitiva, Dio ero io. O forse la mia<br />

macchina...<br />

Gli indiani avevano abbassato archi e frecce e venivano<br />

con fare rispettoso e sottommesso, dipinti dalla testa ai<br />

piedi con il rosso da guerra, tuttavia senza più sprigionare<br />

l’odio e la rabbia di prima.<br />

— Macumu ficifari avvenirimi ammettiri nnistiguai — ruppe<br />

l’incantesimo di quel momento magico il centauro che da<br />

buon siciliano, anzi proprio agrigentino come me (l’avrei<br />

scoperto immediatamente dopo), aveva intuito in un lampo<br />

di genio ciò su cui un genio come Chomsky avrebbe<br />

invece avuto bisogno di scrivere decine di volumi per<br />

scoprirlo. E cioè che l’importante della comunicazione non<br />

è il segno né il contenuto, ma la predisposizione del<br />

comunicatore a farsi capire e quella dell’ascoltatore a<br />

captare il messaggio.<br />

— Akitipari kati cridika... — rispose sulle rime il più<br />

accanito degli indigeni, ormai con animo disarmato. Seppi<br />

dopo che era lui il cacico. Era sicuramente una tribù molto<br />

primitiva, perché non faceva uso di ornamenti né di<br />

speciali insegne di potere e non doveva aver mai avuto<br />

nessun contatto con civiltà più avanzate della sua.<br />

Nino, il centauro agrigentino dall’alto della sua potente<br />

kawazaki che, nonostante il fango che la copriva quasi<br />

completamente s’intravedeva azzurra come la mia<br />

Landau, si esprimeva più con i gesti che con lo strettissimo<br />

dialetto, in quei frangenti evidentemente inutile tanto<br />

quanto qualsiasi altro linguaggio “alienigeno”. Ma<br />

l’indigeno aveva sorprendentemente capito. O rispose<br />

come se realmente il siciliano dell’altro gli fosse familiare.<br />

Difatti la frase di Nino voleva dire: “Chi me l’ha fatto fare a<br />

venirmi a mettere in questi guai?”, ma dai suoi gesti di<br />

mesta autocommiserazione e dalle mani prima lentamente<br />

elevate e subito abbassate, l’indiano capì che si trattava di<br />

tre angeli che venivano ad annunciare l’arrivo della<br />

benefica divinità della caccia. E, in kawatari, rispose: “Sia<br />

lodato il dio della caccia”. Nino capì a sua volta che il<br />

cacico, dal volto serio e compunto, sapeva il siciliano,<br />

perché la frase suonò alle sue orecchie qualcosa come:<br />

“Perché, cosa ti credevi che fosse?”...<br />

Ciò spiega perché tanto Chomsky per un verso, che scrive<br />

un mucchio di cose vere e profonde in un linguaggio<br />

assolutamente incomprensibile alla maggior parte dei<br />

lettori, ed Eco che scrive addirittura romanzi infarciti di<br />

latino, greco ed ebraico, quanto, per l’altro, Paulo Coelho<br />

che scrive chiarissimo sulla quintessenza della banalità<br />

esoterica, vendono tantissimi libri.<br />

Non discuto neanche le tonnellate di carta imbrattata da<br />

tanti e così prolifici scrittori, flagrante attentato alla<br />

sopravvivenza delle foreste, ma quell’incontro<br />

sorprendente e per fortuna incruento mi ha insegnato<br />

alcune cose importanti, come il fatto che le Valchirie di<br />

Coelho esistono realmente perché ne ho viste almeno due<br />

di presenza e che le relazioni fra i gruppi umani<br />

obbediscono alle stesse regole dei demenziali monodialoghi<br />

di Ionesco.<br />

Le due amazzoni erano donne in carne e ossa. Quella<br />

dell’Honda gialla era rimasta, davanti agli omini sbraitanti,<br />

impalata come la fotomodella di un calendario da<br />

camionista, solo che nel caso, nudi erano gli spettatori:<br />

impiastrato di rosso anch'esso, il miserevole uccello era<br />

tenuto in piedi da uno spago legato ai fianchi, simile a un<br />

uccello appunto, appena abbattuto e infilzato a una picca.<br />

L’altra, la bionda coscialunga della Guzzi rossa, si mosse<br />

per prima, al rallentatore, quando gli indiani ebbero<br />

perduto ogni interesse per gli intrusi.<br />

Progetto Babele Dodici<br />

- 9 -<br />

— Sono danese — anticipò non appena gliene fu data<br />

l'occasione, senza che nessuno glielo avesse peraltro<br />

domandato. Si chiamava Edwirges, Edva per gli amici.<br />

La barbie bruna dell'Honda gialla invece se ne stette<br />

impalata ancora per un bel po' come se aspettasse che<br />

qualcuno l'autorizzasse a muoversi.<br />

— Vieni, Barbie — dovette dirle Nino, l'agrigentino: manco<br />

a farlo apposta, si chiamava proprio Barbara ed era<br />

maltese. Era bruna e slanciata almeno quanto la nordica,<br />

insieme alla quale formava una vera e propria coppia di<br />

alabardieri, quando entrambe si mettevano ai lati<br />

dell'abbronzatissimo Nino, tipico mezzataglia dalla faccia<br />

maschia e volitiva, come si conviene a un autentico<br />

siciliano.<br />

I guerrieri mi avevano ormai completamente circondato e<br />

qualcuno si azzardava a toccare i vetri e la carrozzeria per<br />

vedere di che cosa realmente fosse fatta quella navicella<br />

spaziale. A un tratto uno di loro emise un grido che<br />

scatenò nella tribù qualcosa di simile a un canto, una<br />

preghiera, un'ovazione e un pianto allo stesso tempo. In<br />

un istante si adunarono attorno al gruppo di guerrieriadoratori<br />

un'infinità di donne, bambini e vecchi sbucati<br />

fuori dalla giungla. Era tutto un popolo chiamato a raccolta<br />

dal potente loro dio venuto a soddisfare le aspettative<br />

coltivate dagli ancestrali fin dagli albori dei tempi.<br />

Era in certo modo la ripetizione, dopo quasi mezzo<br />

millennio, dell'incontro degli intraprendenti portoghesi con<br />

gli indiani delle coste brasiliane. Sospettosi gli uni degli<br />

altri, incantati e sorpresi, realizzavamo una nuova fusione<br />

della storia con la preistoria. Una nuova scoperta del<br />

Brasile.<br />

Fu in quel momento che avvenne il fatto che ci avrebbe<br />

catapultati tutti sulle prime pagine dei giornali del mondo<br />

intero e che per gli illetterati indigeni, fino allora i più<br />

sconosciuti e i più ignoranti del pianeta, si trasformò<br />

nell'argomento definitivo a favore della loro ormai<br />

consolidata persuasione e indistruttibile credenza: la<br />

scienza divinatoria dei loro avi era la più avanzata<br />

possibile tra le possibili forme del sapere umano. Una<br />

profezia di non so quante centinaia di lune prevedeva<br />

esattamente per quel giorno la venuta di Dio sulla terra.<br />

Per questo si erano mossi, diretti verso il punto che gli<br />

antichi indovini avevano trasmesso lungo i vari anelli della<br />

loro tradizione orale.<br />

Un rumore assordante proveniente dall'etere fece eco in<br />

quel momento al coro unisono d'invocazioni di tanti<br />

credenti e divenne sempre più forte, mentre l'ombra di un<br />

gigantesco boeing rabbuiò per qualche istante la luminosa<br />

atmosfera verde in cui ci trovavamo immersi. L'effetto<br />

doppler aveva ormai rapidamente attuttito quello<br />

straordinario rombo di reattori, terminando in un tonfo<br />

sordo qualche chilometro più in là.<br />

Aspettammo invano una grande fiammata seguita da una<br />

spettacolare esplosione e un fungo di fumo sorgere dal<br />

cuore della selva. Niente. Solo il coro dei versi selvaggi di<br />

migliaia di specie di animali riempì l'aria, mentre i primitivi<br />

e gli alienigeni motorizzati si prostravano nella polvere<br />

rossa della Transamazzonica, ognuno per evidenti e<br />

comprensibili motivi personali.<br />

Io rimasi seduto al volante della Landau, impietrito più per<br />

la coscienza della mia condizione di povero mortale, lo<br />

confesso, che per il nuovo ruolo di imperturbabile divinità<br />

assegnatomi dai fati.<br />

Il cacico, dopo un lungo silenzio, si fece coraggio e alla<br />

fine si alzò di scatto con un grido sovrumano:<br />

— Iemuni arricogliri lupassuluni — che, in kawatari, vuol<br />

dire: "andiamo a prenderci il regalo inviato dagli dei".<br />

E ci avviammo tutti in fila indiana, naturalmente, verso il<br />

luogo dell'incidente aereo, per ultimi noi quattro visi pallidi<br />

che non conoscevamo la strada. Tra alberi secolari,

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