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Speciale Sardegna - Centro Studi e Ricerche Aleph

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Ancora una volta, raggiunto il parossismo nella landa ormai<br />

sparuta di sogni, il disturbo lo riscosse dalla labile<br />

incoscienza.<br />

Schioccò la lingua dell’uomo. Come un automa egli si levò a<br />

mezzobusto, e con un moto di stanchezza, quasi di<br />

rassegnazione, roteò gli occhi dattorno, non avendo però la<br />

forza di sollevare le palpebre. Ristette per un po’ attizzando<br />

l’orecchio, immoto come un radar, per tracciare le coordinate<br />

polari della sorgente del disturbo.<br />

Si fece poi forza riuscendo finalmente a discoprire le pupille, e<br />

subito avvertì il rimpianto nell’abbandono delle scie<br />

luminescenti, delle stelline, dei filamenti di tungsteno<br />

incendiati che s’erano fino ad allora affastellati sul vibratile<br />

telone ordito dai coni e dai bastoncelli.<br />

Vagolò impotente nell’impari sfida al buio stagno della stanza.<br />

Di malavoglia accese la luce centrale, un cerchio al neon che<br />

ricordava l’illuminazione delle trattorie campestri dai tavoli di<br />

marmo, dei circoli sociali colle briscole e gli scoponi, degli<br />

obitori dalle mummie eburnee.<br />

Sotto quella luce cerulea individuò la causa prima<br />

dell’angustia. S’era attivato il timer del videoregistratore, e la<br />

cassetta s’avvolgeva ronzando per registrare Dio sa che cosa.<br />

Ottone deliberò che quella registrazione non valeva la pace<br />

d’un sonno interrotto, e ritenne altresì inopportuno abdicare al<br />

tepore delle coltri. S’allungò allora a prendere dal pavimento<br />

uno scarpone d’ordinanza, avendo egli l’ufficio d’agente di<br />

pubblica sicurezza, e lo lanciò mirando più o meno al tasto<br />

STOP.<br />

Tuttavia le esercitazioni di tiro, che con scarsa disciplina<br />

faceva al poligono della polizia, non gli valsero la riuscita del<br />

lancio. Colpì infatti il tasto REW, ma più in generale il<br />

baricentro del videoregistratore, nonché il sovrastante<br />

televisore. Sia l’uno che l’altro crollarono dunque sul<br />

pavimento, in un’esplosione di catodi e anodi, schede video,<br />

prese scart, memorie volatili, cristalli liquidi, testine, elettrodi e<br />

capstan.<br />

Pochi secondi di trambusto, con qualche scintilla e un po’ di<br />

fumo.<br />

Poi, dopo che l’ultima rondella smise d’orbitare, arrestandosi<br />

ai piedi d’una ciabatta, Ottone drizzò ancora l’orecchio e stimò<br />

cessato l’odioso ronzìo.<br />

Bestemmiò qualcosa sulle rate residue dei due apparecchi<br />

appena distrutti, ma cercò di sedare la montante rabbia col<br />

pensiero di quello che l’entertainment televisivo era uso<br />

riservargli, e che lo lasciava ogni volta inappagato fin quasi<br />

allo sconforto.<br />

“Poco male, era tutta monnezza”, sospirò, e tuttavia avvertì un<br />

principio di orfanezza al pensiero che l’indomani non avrebbe<br />

visto le poppute vallette sculettare recando le domande dei<br />

quiz vespertini.<br />

Nel mentre spense l’interruttore centrale, tirò a sé con un<br />

gesto di stizza anche il residuo lembo di piumino che copriva<br />

la moglie, ed emise un suono a metà strada tra il borborigmo<br />

e il ringhio, a suo modo un’invocazione di un sollecito nuovo<br />

accesso di sopore.<br />

Ma questo ahimé non venne, dacché un nuovo bombito, più<br />

fastidioso perché su una frequenza più alta, s’era diffuso per<br />

la stanza.<br />

Stavolta veniva dall’alto, dal centro del soffitto.<br />

L’uomo non impiegò molto a rintracciarne la causa nel gas al<br />

neon che, per qualche oscura legge termodinamica, pure ad<br />

interruttore spento ancora sfrigolava e scoppiettava, come di<br />

spiedo carducciano, sebbene noi per omogeneità semantica<br />

ancora una volta diremo che nel tubolare torico esso<br />

semplicemente ronzava.<br />

Senza indugio Ottone scandagliò il circostante, cercando al<br />

tatto un altro corpo contundente. Alla sua destra sul comodino<br />

aveva l’abat-jour liberty in porcellana con lampadina affusolata<br />

circonfusa di cacazzelle di mosca. Alla sua sinistra l’unico<br />

oggetto raggiungibile, con un certo slancio, era la flebo che<br />

stillava da ore prezioso alimento nel vizzo avambraccio della<br />

canuta e gemebonda lungodegente che in tempi remoti ed<br />

azzardosi aveva scelto per compagna.<br />

Progetto Babele Dodici<br />

- 67 -<br />

Per comodità Ottone scelse la lampada. La sdradicò con<br />

rabbia dalla presa e la scagliò verso il rumoroso neon,<br />

mandandolo in frantumi.<br />

Pezzi di vetro incandescente ricaddero sul letto ed<br />

appiccarono un principio d’incendio, localizzato in prossimità<br />

dei piedi della donna, i quali in men che non si dica<br />

cangiarono dal lividore del freddo al rossore<br />

dell’arroventamento.<br />

La donna gemette ancora, stavolta per il fuoco che risalì<br />

veloce dai piedi alle gambe, depilandole integralmente colla<br />

stessa tecnica usata per rendere il pollame implume prima<br />

della farcitura, e conferendo loro una coloritura sulle prime<br />

rosata e bronzea, invidiabile per i forzati degli U.V.A., e<br />

tuttavia in rapida escalation, culminando nello stadio del<br />

flambé carbonizzante.<br />

Per quieto vivere e per amore coniugale ella evitò di<br />

lamentarsi troppo. Ottone lo apprezzò, ricordando lo slogan di<br />

una vecchia pubblicità che recitava “chi ama brucia”.<br />

Cionondimeno prima dell’irreparabile egli tamponò le fiamme<br />

con la coperta, e ne estinse con cura gli ultimi focolai. La<br />

moglie cessò d’ardere e di lamentarsi.<br />

“Che nottata infame!”, rugliò l’uomo a denti stretti scrollando<br />

dei frammenti di vetro dalla testa.<br />

“Tutt’a posto?”, chiese solidale alla moglie.<br />

Lei annuì con difficoltà per via del molare, e riprese a<br />

respirare debolmente, ponendo attenzione nell’evitare il<br />

benché minimo sibilo.<br />

Ottone placò a fatica l’ultima concitazione, di nuovo<br />

s’abbandonò distendendo le palme delle mani, e di nuovo<br />

cercò di guadagnare l’assetto stabile del respiro e la tabula<br />

rasa dei pensieri. Come un bimbo cresciutello, seppure dalla<br />

faccia di muppett irsuto, ci provò poi disponendosi in<br />

posizione fetale sul fianco, con le mani giunte sotto le guance.<br />

E proprio come un bimbo, colla coscienza leggera per il<br />

salvamento effettuato, si dispose fiducioso all’attesa di un<br />

sonno profondo, degna ricompensa per quella buona azione.<br />

Prima d’addormentarsi pensò di spegnere la stufa a gas che<br />

di solito riscaldava la stanza di notte, visto che nel talamo<br />

adesso disponeva di due gambe tizzone e delle relative<br />

correnti convettive. Tuttavia ancora una volta ritenne sforzo<br />

sovrumano l’alzarsi per chiudere la valvola della bombola, e<br />

rinunciò senza fallo a quella esigua economia domestica.<br />

Ma si!, convenne, quelle ondate di calore in sovrappiù<br />

avrebbero tanto meglio incoraggiato il sonno!<br />

E finalmente, scevri i suoi timpani di vibrazione alcuna,<br />

s’assopì di nuovo e varcò la soglia dell’incoscienza.<br />

Buio, notte, silenzio, sogni, nuovi filamenti di tungsteno. O di<br />

uranio. O frammenti di iperuranio.<br />

Quanto durò tutto questo? S’addivenne all’imo del REM,<br />

all’impercezione totale?<br />

A queste e ad altre domande, tipo quanti soldi aveva nel<br />

portafogli, quando gli scadeva la patente, lo stato di salute dei<br />

suoi agenti cariogeni, la molteplicità dei suoi enzimi, non<br />

sapremmo dare una risposta certa.<br />

Nonpertanto ci piacerebbe sapere se quello era un sogno<br />

vero.<br />

O forse si trattava di una nuova beffarda illusione?<br />

Magari era stato un desiderio di sonno che sfociava nel sogno<br />

ad occhi aperti, seppure con le palpebre calate, e questo<br />

sogno di sonno che s’aspettava mutarsi nel sonno vero, e<br />

quindi nel sogno consequente, s’era invece impastoiato nel<br />

limbo del grado zero dell’autocoscienza, equidistante dal reale<br />

e dall’onirico.<br />

Ma alfine quel diaframma così sottile, così fragile, era almeno<br />

impermeabile al ronzìo?<br />

Per rispondere non ci resta che prestare orecchio, prego, e<br />

stornare diversioni e speranze vane, ricordandoci d’essere<br />

uomini e non struzzi.<br />

Ordunque si riattivi il fine radar auricolare e lo si rotei a tutto<br />

tondo in senso orario.

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