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Speciale Sardegna - Centro Studi e Ricerche Aleph

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Afghanistan 1939<br />

di Maria Francesca Fisichella<br />

Perché mai due donne (sole!) avrebbero scelto, nell’estate<br />

del 1939, di spingersi in terre tanto lontane, e porsi come<br />

meta l’Afghanistan? Ebbene fu proprio ciò che<br />

realizzarono Annemarie Schwarzenbach (1908 -1942),<br />

scrittrice, viaggiatrice, giornalista e fotografa, ereditiera di<br />

una delle più ricche e facoltose famiglie della Svizzera -<br />

amica di Erika e Klaus Mann - e l’amica, la ginevrina Ella<br />

Maillart, anch’ella scrittrice, giornalista e antropologa. Le<br />

due donne non erano nuove a simili avventure. Ne<br />

potevano vantare entrambe di straordinarie. Viaggi favolosi<br />

o eterne fughe, videro Annemarie Schwarzenbach<br />

raggiungere mete quali l’Europa del Nord (1934; 1937;<br />

1938), la Persia, nella quale ritornò più volte (1933-1934;<br />

1934-35), gli Stati Uniti con Barbara Hamilton-Wright<br />

(1936-37), l’Afghanistan con Ella Maillart (1939), e l’Africa<br />

(1941-42), l’ultimo grande viaggio. Ma i suoi non furono<br />

solo “viaggi nello spazio”. Più volte, durante la sua breve<br />

vita, si perse nei labirinti della droga, o - nel 1940 a New<br />

York - nella follia, che la portò tra le mura di una clinica<br />

psichiatrica, il Bellevue Hospital. Questo ,,verödeter Engel“<br />

(angelo devastato), o ,,ange inconsolable“ (angelo<br />

inconsolabile), dimenticato per quarant’anni dopo la sua<br />

tragica morte e riscoperto, anche come autrice, solo nel<br />

1987, ha ben presto alimentato una sorta di mito, che dalla<br />

Svizzera, la sua madre patria, si é propagato in Francia,<br />

Germania e negli USA. Anche in Italia la fama della<br />

Schwarzenbach ha ispirato il libro, dal titolo Lei così<br />

amata, di Melania G. Mazzucco,vincitore del superpremio<br />

alla V edizione del Premio Vittorini. Affascinante per via del<br />

suo aspetto efebico e per la bellezza, ammirata per le<br />

attitudini intellettuali e il talento - che ebbe modo di<br />

esprimere tanto attraverso l’opera letteraria, quanto<br />

attraverso l’attività giornalistica, che portò avanti per un<br />

decennio – Annemarie entrò ben presto in disputa con la<br />

propria famiglia e il proprio ambiente, a causa della sua<br />

passione per la scrittura, la letteratura, e soprattutto per la<br />

sua omosessualità vissuta apertamente nella vita privata<br />

che emergeva dai suoi scritti autobiografici, e ancora a<br />

causa della sua vita sregolata e anticonformista, che la<br />

resero uno dei simboli della schiera di<br />

“Frauenrechtlerinnen”, ovvero donne emancipate, che<br />

cominciarono a sperimentare e affermare la propria presa<br />

di coscienza dopo la Prima guerra mondiale. Ebbene le<br />

due amiche<br />

attraversarono<br />

Ella Maillart<br />

l’Italia, i Balcani,<br />

Istanbul, il Mar<br />

Nero, la Turchia,<br />

l’Iran, ed infine<br />

l’Afghanistan, che<br />

secondo quanto<br />

scrisse Annemarie<br />

Schwarzenbach in<br />

un articolo inedito<br />

dal titolo Daily life<br />

in Afghanistan<br />

(Vita quotidiana in<br />

Afghanistan), .<br />

Questo suo<br />

vagare, questa<br />

sua Odissea, fu il<br />

Progetto Babele Dodici<br />

V I A G G I E V I A G G I A T O R I<br />

- 72 -<br />

filo conduttore<br />

della sua<br />

esistenza. All’inizio<br />

ci siamo chiesti<br />

perché un viaggio<br />

in Afghanistan. In<br />

realtà, le due<br />

donne giunsero<br />

alla conclusione<br />

che il caos che<br />

regnava in<br />

Occidente alla<br />

vigilia della<br />

Seconda guerra<br />

mondiale<br />

dipendesse dal<br />

caos che era in<br />

loro. Solo<br />

costringendosi ad<br />

Annemarie Schwarzenbach (1908 -1942)<br />

ordinarlo potevano<br />

arrivare a capire<br />

meglio se stesse, mentre studiavano l’altro da sé, quel<br />

mondo e quelle popolazioni orientali sulle quali avrebbero<br />

dovuto scrivere articoli, per diverse testate giornalistiche e<br />

resoconti di viaggio.<br />

Di questo viaggio è rimasto anche un film-documentario,<br />

oggi conservato presso la Cinématique Suisse di Losanna<br />

che racconta la meravigliosa avventura alla scoperta di<br />

cose, persone e paesaggi am Ende der Welt (alla fine del<br />

mondo) per usare un’espressione di Annemarie<br />

Schwarzenbach, che vide luoghi e monumenti, ormai<br />

perduti per sempre a causa del dissidio sempre aperto tra<br />

Occidente ed Oriente, come ad esempio le splendide<br />

statue dei Buddha giganti, nella valle di Bamiyan! Il viaggio<br />

in Afghanistan della nostra autrice fu occasione di un<br />

intenso lavoro sul piano giornalistico, corredato sempre da<br />

splendide immagini. scrisse<br />

l’autrice. Negli scritti della Schwarzenbach emerge -<br />

accanto ad una scrittura d’impatto, rapida ed efficace,<br />

come richiedono i tempi della carta stampata - l’attualità<br />

dei temi trattati, verso cui la condussero la sua estrema<br />

sensibilità votata a puntare il riflettore su ombre e<br />

vergogne. Riportiamo di seguito due articoli ancora inediti,<br />

Da Occidente ad Oriente (Vom Okzident zum Orient) e<br />

Tende nere in Afghanistan ( Schwarze Zelte in<br />

Afghanistan), scritti in occasione del viaggio in Afghanistan<br />

e conservati nel lascito dell’autrice, custodito presso<br />

l’Archivio svizzero di letteratura, presso la Biblioteca<br />

nazionale svizzera di Berna. Il primo é l’intervista della<br />

nostra autrice ad un giovane ingegnere turco, durante la<br />

prevista tappa in Turchia, in cui colpisce la<br />

consapevolezza del giovane rispetto al fatto che il suo<br />

popolo ha tanto da insegnare all’Occidente che sta<br />

perdendo i veri valori, mentre giunge in queste terre con la<br />

sua aria di onnipotenza tipica di chi ha solo da insegnare,<br />

nulla da imparare. Il progresso, però, di cui si pregia é<br />

messo miserabilmente in ridicolo da un aneddoto finale!<br />

Mentre in Tende nere in Afghanistan si affronta il problema<br />

dei nomadi, che proprio il progresso rischia di privare della<br />

propria identità.<br />

In Da Occidente ad Oriente leggiamo:

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