Speciale Sardegna - Centro Studi e Ricerche Aleph
Speciale Sardegna - Centro Studi e Ricerche Aleph
Speciale Sardegna - Centro Studi e Ricerche Aleph
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
Il letto di Ottone<br />
di Calogero Mannella<br />
Si materializzò così uno scenario bucolico, con un campo di<br />
grano, delle spighe piegate dal vento, un mulino bianco, una<br />
spigolatrice, un aratro, una trebbiatrice, un trattore, una ruspa,<br />
una pala meccanica, un caterpillar.<br />
Ottone fu richiamato alla veglia, nel pieno della notte, da un<br />
rumore ossessivo e remotamente minaccioso.<br />
La bocca semiaperta e filante di saliva, la lingua limacciosa,<br />
gli occhi bombati ed i capelli ammannellati sotto la berretta da<br />
notte dalla nappina rossa rivelavano il recente oblìo della<br />
coscienza.<br />
Il rumore era uno “zzzzzz” subdolo e pertinace.<br />
“Zanzare!…”, scandì nella mente, “…Tzé!”<br />
Quell’esclamazione stizzita era ricorrente quando riconosceva<br />
il ronzìo di una zanzara, di una vespa, di un calabrone o di<br />
una mosca. S’associava ad un’espressione di fastidio che la<br />
sua faccia esprimeva aggrottando le sopracciglia, roteando gli<br />
occhi smarriti, increspando in un risucchio gli angoli della<br />
bocca, e creando al contempo delle concavità nelle guancie.<br />
Quell’esclamazione era del resto ancora più enfatica quando<br />
riconosceva una piàttola, una zanzara anofele, o una mosca<br />
tse tse.<br />
In quest’ultimo caso l’esclamazione suonava così: “Tse<br />
tse!…Tzé!”<br />
Ovviamente la contiguità fonetica creava impaccio a lui e<br />
qualche crisi di identità alla mosca tse tse, che aveva<br />
l’impressione la si appellasse anche col patronimico.<br />
Ottone ristette ancora un po’ ad ascoltare.<br />
Poi allungò una mano verso la sorgente del rumore e vi<br />
ammollò un violento schiaffo.<br />
L’apparecchio scacciazanzare, una scatoletta nera ad<br />
ultrasuoni, andò in frantumi sotto la manata.<br />
Accortosi del grossolano abbaglio Ottone si scosse, tirò su il<br />
busto e cercò nella penombra la sagoma dello<br />
scacciazanzare. La lucetta rossa era ormai spenta, la scatola<br />
era disfatta ed aveva cessato d’insinuare sibili per la stanza.<br />
L’uomo si grattò la testa, borbottò una malaparola ricordando<br />
quanto quell’apparecchio gli fosse costato. Poi si rincantucciò<br />
sotto le coperte.<br />
Dopo poco tempo, quando l’ordito dei sogni s’era ricomposto,<br />
e personaggi più o meno noti avevano ripreso a sfilare davanti<br />
ai guizzi roteabondi dei glauchi ellissoidi, un nuovo rumore<br />
cominciò ad insinuarsi nello spettro sonoro accessibile alle<br />
sue orecchie. Un ronzìo, dapprima sopito, poi più evidente,<br />
infine decisamente assillante, aveva di nuovo decomposto in<br />
amebe le silhouette compiute ed i vividi affreschi impressi dal<br />
sonno all’incoscienza mùtola.<br />
Giacendo innocuo e silente lo scacciazanzare sul pavimento,<br />
il rumore s’originava dal lato opposto, molto prossimo al suo<br />
giaciglio.<br />
“Zanzare!…”, compitò di nuovo corrucciato, “…Tzé!”<br />
E senza curarsi d’aprire gli occhi ammollò un altro gagliardo<br />
manrovescio in direzione del disturbo. Esso cessò di colpo, ed<br />
in sua vece s’insinuò un sommesso singhiozzare.<br />
Ottone si levò a mezzo busto, accese la lampada e notò che<br />
la donna al suo fianco, sua legittima consorte, estraeva un<br />
paio d’incisivi sanguinolenti e controllava la tenuta di un<br />
premolare.<br />
“Era quello con l’intarsio in ceramica?”, le chiese.<br />
“Fi”, confermò quella.<br />
“E che cacchio c’avevi da ronzare come una zanzara, eh?”,<br />
sbottò tirando le lenzuola per la stizza.<br />
La donna abbassò lo sguardo. Egli levò per l’aere un pugno,<br />
come a lamentarsi della malasorte, calcolò gli zeri di una<br />
nuova parcella odontoiatrica, bofonchiò ancora qualcosa<br />
nell’esofago spegnendo la lampada, e finalmente si girò<br />
sull’altro lato.<br />
I sogni si tinsero di grigio e qua e là di spruzzi di sangue,<br />
inizialmente del canonico colore rosso, ma poi via via di giallo,<br />
Progetto Babele Dodici<br />
- 66 -<br />
verde, blu, e delle mille screziature dell’iride, finché le<br />
particelle si composero in figure e paesaggi usati, alla maniera<br />
pointillista.<br />
Si materializzò così uno scenario bucolico, con un campo di<br />
grano, delle spighe piegate dal vento, un mulino bianco, una<br />
spigolatrice, un aratro, una trebbiatrice, un trattore, una ruspa,<br />
una pala meccanica, un caterpillar. In questo campo Ottone<br />
era immerso fino al busto, e si muoveva con quella<br />
leggerezza già vista in molte sequenze di cinema e pubblicità,<br />
ovvero ruzzando e danzando tra le spighe, al contempo<br />
scacciando con una paglietta un nugolo di locuste fameliche,<br />
e finalmente saltando con disinvoltura in aria su una mina<br />
antiuomo, perenne minaccia dei campi di grano. Quest’ultimo<br />
particolare è in genere sottaciuto dalle pubblicità agresti, ma il<br />
dovere di cronaca, seppur onirica, ci impone di parlarne. E<br />
magari di traslare quella scena anche in chiave notturna,<br />
quando all’entusiasta idolatra di Pan fa da sfondo un cielo<br />
disseminato di stelle, al limite del quale a perdita d’occhio si<br />
scorgono il Piccolo ed il Gran Carro (appressandosi l’ignaro a<br />
saltare in aria su delle mine anticarro).<br />
Il respiro dunque, accompagnandosi all’idillio, tornò regolare e<br />
profondo, e ancora per un po’ il silenzio calò nella stanza. La<br />
bocca si reimpastò ed il volto si imbolsì di nuovo, straniandosi<br />
di quel tanto da assomigliare ad uno dei muppett. Il nostro<br />
uomo, con le movenze d’un cinghiale che si rivolta sul terreno<br />
afflitto da un prurito alla schiena, ed emettendo analogo<br />
grugnito, si girò più volte sul fianco discoprendo la<br />
gemebonda consorte.<br />
S’era ai principi dell’inverno e di notte faceva abbastanza<br />
freddo, seppure ancora s’imboscavano per la casa esemplari<br />
di zanzare di fine stagione, mutanti refrattari alle escursioni<br />
climatiche. Costoro erano il cruccio di Ottone, individuo dal<br />
sangue dolce, come dice il nome 9 , e dunque concupita<br />
libagione dei sordidi ditteri.<br />
Per questo motivo ogni ronzìo, remoto o contiguo che fosse,<br />
era una messa in guardia per il subconscio, un’interferenza<br />
nella dialettica sistole-diastole, un accesso d’inopinata<br />
distonia, un allarme rosso per gli altri ottoni, quelli d’Eustachio.<br />
Passò del tempo. Anche i singhiozzi in sordina della donna si<br />
diradarono, e con quelli il gocciolìo del suo sangue sullo<br />
scendiletto.<br />
Ma un nuovo ronzìo, ahimé, di lì a poco cominciò a<br />
distinguersi per la stanza, stavolta remoto alle orecchie di<br />
Ottone. E tanto più ristagnava il vuoto d’altri rumori, fossero<br />
essi endogeni (borbogli dal colon), esogeno-finitimi (bombi di<br />
zanze, cricchi di tarli), o esogeno-lontani (rombi di motori,<br />
alterchi d’ubriachi, richiami di puttane), tanto più si stagliava<br />
quell’unico, insistito, ipnotico sibilo.<br />
9 Una dubbia etimologia farebbe risalire Ottone al sanscrito<br />
Othonai, che significherebbe letteralmente “Sangue dolce, buono<br />
per zanzare e piattole. Si rilevano tracce di trigliceridi.”