Speciale Sardegna - Centro Studi e Ricerche Aleph
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piccolezza e della labilità umane, ma deluso perché<br />
comunque tempo ed esperienza hanno insegnato ben poco).<br />
Un umorismo del genere di quello cantoniano, avrebbe un<br />
senso ancora oggi, secondo te? E più in generale, vedi un<br />
futuro per l'umorismo?<br />
Quello che mi ha più stupito di Alberto Cantoni è stata proprio<br />
la modernità dei messaggi e delle consapevolezze evidenziati<br />
nei suoi testi (ovviamente con le restrizioni e retaggi che il suo<br />
essere uomo di fine Ottocento inevitabilmente comporta).<br />
Considerazioni come quelle sull’inutilità della guerra,<br />
sull’uguaglianza delle persone, sulla piccolezza dell’uomo<br />
rispetto all’immensità e indecifrabilità del cosmo, e ,più in<br />
generale, sulla difficoltà di comunicare insita nelle persona a<br />
causa dell’incapacità ed impossibilità di comprendersi a<br />
vicenda, sono di un’attualità incredibile.<br />
Le tesi esposte da Cantoni sono quelle del più tipico umorista<br />
alle soglie del nuovo secolo, ovvero sono le tematiche che<br />
Luigi Pirandello andrà approfondendo ed esponendo<br />
(senz’altro meglio e con una maggiore cognizione, ma non<br />
con una più profonda coscienza) nei suoi scritti poco tempo<br />
dopo: considerazioni quali la labilità del reale, la caduta delle<br />
illusioni, la scomposizione della realtà, gli strappi nella<br />
coscienza, sono tematiche umane adatte a tutta l’umanità e di<br />
tutti i tempi, proprio perché esprimono considerazioni di tipo<br />
ontologico, però ritengo siano particolarmente adatte per le<br />
ere moderne e contemporanea in quanto è tipica di questi<br />
tempi la profonda riflessione da parte del singolo sulla propria<br />
interiorità; il progresso sicuramente a spinto e continua a<br />
premere su queste mosse della coscienza perché ponendo<br />
continuamente nuovi traguardi e cercando dunque<br />
costantemente di superare nuovi limiti, pone la mente umana<br />
a dover fare i conti in primis con se stessa, in quanto è proprio<br />
lei l’artefice dell’evoluzione stessa e colei che sola la può<br />
gestire.<br />
Alberto Cantoni, da buon spirito critico e tormentato qual’era,<br />
sia come uomo, sia come umorista, già si poneva di fronte a<br />
tali questioni, e la chiusura dell’apologo già citato (quasi una<br />
favola filosofica), Io, el Rey, mi fa capire come la sua opinione<br />
non fosse troppo positiva e speranzosa a riguardo:<br />
Gli è che la fortuna delle parole varia di molto cambiando<br />
paese, e vara anche, disgraziatamente, la fortuna dei luoghi,<br />
benché stien farmi. Di fatto, basta leggere ora in altissimi versi<br />
di un «settentrional vedovo sito», perché ci venga subito<br />
voglia di guardarne un altro, più vedovo assai dalla parte<br />
opposta.<br />
La luce, cui alludono i versi, lo rallegra ancora degli stessi<br />
raggi; ma importa molto che il sole sia sempre quello, se<br />
persino al tempo dei Mori ci si vedeva meglio!<br />
La risorsa straordinaria dell’umorismo e dell’umorista, quella<br />
che permette di stingerlo dallo sterile pessimismo e dalla<br />
compiaciuta autocommiserazione, è la capacità del sorriso, la<br />
capacità di mediare l’insensibile risata, e al tempo stesso la<br />
problematica riflessione con esiti altro che distruttivi.<br />
L’umorista fa della sua coscienza il suo punto di forza, senza<br />
però cercare di ergersi a portatore di nuove certezze, ad<br />
elevatore di nuovi sistemi, bensì mostrando e diffondendo con<br />
i suoi racconti vivaci ed accattivanti, la sola capacità di cui ha<br />
la presunzione di farsi rappresentante: l’essere uomo di<br />
mondo, ovvero la capacità di affrontare la quotidianità dandole<br />
il giusto peso, grazie alla comprensione del gioco di maschere<br />
e della recitazione che cui si è costretti a sottostare ogni<br />
momento sul palcoscenico della vita. La salvezza per<br />
l’umorista esiste, però non è da ricercarsi con la lotta, ma con<br />
la dignitosa accettazione del proprio ruolo, accettazione<br />
derivata dalla comprensione che va oltre l’apparenza. La<br />
capacità di SORRIDERE di fronte ai casi della vita, anziché<br />
ridurre il grottesco e l’ingiusto cui ci si deve per forza trovare<br />
do fronte, persino in famiglia, a motivi di disperazione o do<br />
odio, è il segno della vera vittoria.<br />
Come dire quindi che non vedo un futuro per l’umorismo?!<br />
Per gentile concessione di Fabiana Barilli<br />
A cura di Carlo Santulli<br />
Progetto Babele Dodici<br />
TESTI D’AUTORE<br />
A passo di Gambero 1 - Sgorbio<br />
di Alberto Cantoni<br />
(…) La folla si sgomenta, non capisce nulla, ma il professore<br />
non ha né forza, né coraggio sufficiente per spiegarsi.<br />
Finalmente un tartufo che si era cacciato in mezzo alla<br />
scolaresca coll’evidente proposito di raccogliere qualche<br />
parola troppo ardita a di riferirla al consigliere aulico suo<br />
patrono, si rizzò in piedi, e cominciò ad indicare il paziente<br />
siccome una vittima del dito di Dio! (…)<br />
Una dotta università tedesca apriva le sue porte ad una folla di<br />
gente che, in fatto di scienza, giungeva a tanta abnegazione da<br />
proporla, in certe ore, alla birra. Era giorno di festa per quei<br />
sacerdotini di una verità…avvenire, e tu avresti potuto fartene<br />
capace badando allo sguardo e all’ansietà che si dipingevano sul<br />
volto di ognuno. E nessuno aveva torto. Un professore, la di cui<br />
fama non era ancora uscita né vittoriosa né vinta dal pestello della<br />
pubblica opinione, avea proclamato, pochi giorni prima, che nella<br />
prossima lezione si sarebbe accinto a creare Iddio! La promessa<br />
era lunga, molto lunga, e quel branco di studiosi che aspettavano,<br />
secondo l’odio o l’amore di parte, che l’attendere fosse corto,<br />
ovvero lunghissimo, più ancora forte della promessa.<br />
Già gli occhi di molte speranze della patria pendono dagli occhi di<br />
Fichte (era lui), già una corrente psico-magnetica si è stabilita fra la<br />
cattedra e le panche, allorché il creatore di Dio si alza, guarda<br />
attorno, fissa un punto, lo torna a fissare, rimane in asso, poi sputa,<br />
poi si gratta le tempie, poi si butta di nuovo a sedere, tanto avvilito e<br />
confuso che lo si sarebbe potuto scambiare per ogni uomo del<br />
mondo fuorché per Fichte, per l’Io uguale a Io (io = io).<br />
La folla si sgomenta, non capisce nulla, ma il professore non ha né<br />
forza, né coraggio sufficiente per spiegarsi. Finalmente un tartufo<br />
che si era cacciato in mezzo alla scolaresca coll’evidente proposito<br />
di raccogliere qualche parola troppo ardita a di riferirla al consigliere<br />
aulico suo patrono, si rizzò in piedi, e cominciò ad indicare il<br />
paziente siccome una vittima del dito di Dio!<br />
-Che Dio!? Gridavano i fautori di Fichte! Se non è ancora nato!<br />
-No, no, gridò il professore che avea ritrovato tutta la sua energia, e<br />
sfidava il ridicolo pur di non cedere al baciapile, no, no, non è il tuo<br />
Dio che mi colpisce, è un bottone, un bottone d’inferno che mi<br />
annichila, che mi disfa!…<br />
-Un bottone? Chiesero tutti i partigiani, ed avversari e tartufi. Un<br />
bottone?<br />
-Sì, sappiatelo. Il più diligente, il più coscienzioso dei miei allievi (e<br />
additava un giovane biondo che aveva più fronte che testa) veniva<br />
ad ascoltarmi da un anno in qua con un abito rosso e scucito cui<br />
mancava un bottone. Io me ne accorsi dal primo momento e<br />
cominciai a prediligere quella mancanza riguardandola siccome<br />
segno nobilissimo di povertà nobilmente accettata e sofferta. A<br />
poco per volta quel bottone che non c’era divenne la mia stella<br />
polare, e sa Dio quanti strafalcioni mi sarebbero usciti di bocca se<br />
io non mi fossi ritemprato nella contemplazione del vedovo<br />
occhiello. Una mano addestrata nelle mille arti dello spegnitoio, un<br />
filo di refe strappato alla gonna della più laida strega che abbia mai<br />
inforcato granate nel più energumeno di tutti i sabbàti, attaccarono<br />
un nuovo bottone a quell’abito, e fecero di Fichte una testa di legno,<br />
una testa di Chioggia che non ha più né Dio né Io. O palandrona<br />
benemerita per servizio lungo, abbi pietà del mio ingegno, e rendi<br />
Fichte a Fichte.<br />
Detto, fatto. Il biondo, levando la palma con ardore di settario, si<br />
strappò il bottone dall’abito, come Epaminonda il pugnale dal seno,<br />
poi rivolgendosi al suo Maestro già radiante di gioia, gli disse:<br />
«A te, parla!».<br />
E il professore fu più eloquente che mai.<br />
Ma il povero Dio fu tanto subissato sotto una gragnuola così fitta di<br />
obiettività e di subiettività che alla stretta dei conti si avrebbe potuto<br />
giurare che o Dio c’era anche prima di Fichte, o non c’era e non ci<br />
sarà né prima né dopo.<br />
* * *<br />
Voltiamo pagina.<br />
Io sono miope come uno sciagurato che divora più libri di quel che<br />
non mangi ciambelle, e un contadino, amico mio, ti saprebbe<br />
numerare la bacche più giovani e più minute del Noce di<br />
Benevento. Per esso i cannocchiali sono ladrerie di giustamestieri,<br />
per me un occhialino è quasi più indispensabile degli occhi stessi.<br />
Ci addormentiamo davvicino, e una fata, toccandoci le palpebre,<br />
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