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Speciale Sardegna - Centro Studi e Ricerche Aleph

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non ha importanza. Gli spiego che anzi, stranamente,<br />

questa condizione nuova mi aiuta nel mio lavoro e che, in<br />

fin dei conti, forse mi ci godo di più la vita. Enrico sembra<br />

non capire il mio discorso e alla fine dice: beh, se a te va<br />

bene così…, continuando a bere il bicchiere di birra. Io mi<br />

servo di una cannuccia, altrimenti non saprei come fare.<br />

Guardo Enrico che ha due gambe e due braccia più di me<br />

eppure mi sembra più spoglio di me, più debole nei<br />

confronti del mondo, con meno armi. Gli chiedo come gli<br />

vanno le cose e mi risponde che meglio non potrebbero<br />

andare. Il suo matrimonio è stabile, il lavoro lo soddisfa,<br />

per come può essere soddisfatto un netturbino, e che non<br />

saprebbe cosa desiderare di più. Poi mi guarda e comincia<br />

a piangere. Piange, il povero amico, perché gli faccio<br />

pena. Lo rassicuro che sto bene anche così, cerco di fargli<br />

capire che anche se sono senza gli arti vado dovunque e<br />

faccio tutto ma non mi capisce: per lui sono un anormale.<br />

Dopo aver salutato Enrico, rotolando e saltellando arrivo in<br />

un parco dove andavo sempre da piccolo, Villa Giulia. Un<br />

gruppetto di bambini sta giocando a nascondino dietro i<br />

cespugli, li osservo e ricordo quando ero io bambino. Tanti<br />

anni sono trascorsi e devo ammettere che preferisco la<br />

mia attuale condizione. Non sono stato un bambino<br />

tranquillo, non ho conosciuto il gioco collettivo, la<br />

spensieratezza infantile, il calore familiare delle lunghe<br />

giornate invernali. Adesso felice starnazzo per le vie come<br />

un aquilone e mi cullo leggero nell’aria respirando il<br />

profumo dei fiori. Perché dovrei rimpiangere il tempo<br />

passato se quel tempo mi dona soltanto tristi ricordi? Di<br />

solito si ripensa al passato con nostalgia, io no, io vivo<br />

bene il presente, senza gambe e senza braccia, ma con<br />

una energia nuova, una carica interiore che si sprigiona<br />

esternamente come lava da un vulcano. Adesso io esisto e<br />

prima ero solo un curioso di cose morte. Scopritore sì, ma<br />

di me stesso. Cercavo le mie origini atomiche, la forza<br />

centripeta del mio essere, volevo un propulsore nucleare e<br />

l’ho trovato. Adesso vado ovunque senza nessuno temere.<br />

Villa Giulia mi è sempre piaciuta, spesso vi andavo con<br />

mio nonno e mi raccontava aneddoti che ancora ricordo. Vi<br />

è la storia dei due compari dei quali uno per scommessa si<br />

infila dentro la gabbia del leone e viene sbranato. Adesso il<br />

leone non c’è più, la gabbia è vuota. Faccio due passi (se<br />

così posso dire) per i viali alberati. Mi godo questa giornata<br />

di sole, normale per una città come Palermo, l’unica città<br />

che io conosca dove vale la pena vivere.<br />

Per la gente sono un tipo anomalo, mi vedono saltellare e<br />

si chiedono del perché sia senza arti. Pensano ad un<br />

incidente, oppure ad una deformazione prima della<br />

nascita.<br />

Vedo una panchina sotto una vecchia quercia e mi ci<br />

metto. Alcune foglie mi solleticano il naso, mi giunge<br />

leggero il profumo dei fiori e sento il ronzio di api laboriose.<br />

Mi tornano alla mente le formiche, sono insetti da<br />

ammirare entrambi. Due anziani si siedono accanto a me e<br />

dopo avermi dato un saluto cominciano a parlarmi. Certo<br />

deve essere terribile trovarsi senza braccia e senza<br />

gambe. No, rispondo, cosa c’è di terribile? Beh, non<br />

camminare agevolmente, non poter portare nulla, non<br />

poter amare. Eh no, posso accettare il non “poter portare<br />

nulla”, ma non il “non camminare agevolmente” e meno<br />

che mai il “non poter amare”. Perché non potrei amare?<br />

Cosa mi impedisce di amare? Ho un cuore anch’io, ho una<br />

mente, provo sentimenti, anzi tutto ciò è acuito, più degli<br />

altri io avverto sensazioni. Vado via, non posso rimanere<br />

ancora lì senza incavolarmi.<br />

Mi ritrovo per via Maqueda, la strada, i marciapiedi, tutto<br />

pullula di gente che vanno, che vengono, che entrano ed<br />

escono dai mille negozi. Città viva, come dicevo prima, e<br />

questo ne è un esempio. Svolto a sinistra e scendo per via<br />

Progetto Babele Dodici<br />

- 58 -<br />

Cavour, voglio andare verso via Roma, verso la Vucciria.<br />

Appena giunto mi viene in mente il grande dipinto di<br />

Guttuso in omaggio a questo grande mercato e mi sento<br />

orgoglioso di essere siciliano. La Vucciria, grande affresco<br />

di una Palermo sempre uguale dove attraverso la tela si<br />

sente l’odore del pesce fresco e della verdura appena<br />

colta. Questa è una Palermo secolare ed eternamente<br />

stabile nei propri valori ma non per questo negativa.<br />

Siciliani bistrattati da altre culture ma proprio per questo<br />

fondamentali nella civiltà umana. E gente incompresa da<br />

chi non vive con loro. Ma pure gente testarda nel<br />

perseguire il vecchio, timorosa di ogni cambiamento,<br />

timorosa di perdere la propria identità, forse uno dei valori<br />

a cui tengono di più.<br />

Lungo il mio andare vado a finire dentro un tombino. Vado<br />

giù per metri e metri e finisco in una pozza di fango. E’<br />

tutto buio, soltanto una leggera luce giunge dall’alto.<br />

All’improvviso sento delle voci, vado in quella direzione e<br />

vedo decine di persone, uomini e donne e bambini. Sono<br />

allegri, ridono, scherzano, per nulla imbarazzati dalla mia<br />

presenza. Mi avvicino ad un anziano signore dalla folta e<br />

lunga barba bianca. Salve, gli dico, cosa ci fate tutti voi<br />

qui? Il vecchio mi guarda con i suoi occhi tristi e una<br />

lacrima gli scende lentamente facendo illuminare per un<br />

attimo la pupilla. Lo guardo con più attenzione, una strana<br />

sensazione mi prende: sono proprio io, non vi sono dubbi.<br />

Allora rivolgo lo sguardo agli altri componenti, saranno una<br />

trentina in tutto, e sono sempre io in ognuno di loro. Ma<br />

come può essere possibile? Cosa può significare? Il<br />

sudore comincia a scendermi dalla fronte, comincio a<br />

temere il peggio. Non si curano di me ma mi vedono, mi<br />

sentono, impassibili continuano il loro dialogare. Cerco di<br />

parlare loro ma non mi rispondono, è come se li osservassi<br />

da dietro un vetro: vedere ma non comunicare. Mi vedo<br />

bambino e ragazzo e anziano e tutte e tre le visioni mi<br />

rattristano, preferisco mettere un telo nero sopra e non<br />

guardare più. Sì, meglio godermi questo presente e<br />

andare oltre. Rigirandomi su me stesso velocemente<br />

risalgo la parete del tombino e risbuco attraverso le grate<br />

sulla via, affollata come tutte le vie di Palermo. Con alti<br />

salti repentinamente mi allontano dirigendomi verso la mia<br />

abitazione, avverto un po’ di stanchezza. Si, un riposino è<br />

quello che ci vuole. Ma arrivando trovo un impedimento:<br />

come entro? Non ho mani per aprire con la chiave. Faccio<br />

un giro intorno alla casa alla ricerca di una fessura<br />

sufficientemente grande da potermici infilare ma non trovo<br />

niente di meglio che andare al piano superiore dalla<br />

Roberta e chiedere a lei di venirmi ad aprire la porta. La<br />

Roberta è distesa sul divano e non sembra per niente<br />

meravigliata di vedermi. Ciao, mi dice, entra pure. Con un<br />

salto vado dentro, mi fa sdraiare accanto a lei e mi<br />

domanda: cosa ti è successo agli arti? Nulla, rispondo, per<br />

ora mi piace stare così. Anch’io voglio essere così, dice la<br />

Roberta, anch’io. Più tardi, forse, più tardi. Mi sei sempre<br />

piaciuto, mi dice, e comincia a passarmi le mani sul corpo,<br />

comincia a stringermi, ad appallottolarmi, come se fossi<br />

mollica di pane. Comincio a prendere consistenza,<br />

spessore, durezza ma rimpicciolendomi. Essa affonda le<br />

dita su di me con virulenza ma non provo dolore, anzi, ogni<br />

volta ne godo. Divento così quanto una pallina da ping<br />

pong e Roberta comincia a strusciami sul suo corpo, sotto<br />

la gonna e in mezzo alle cosce. Mi ritrovo davanti una<br />

grande grotta con le pareti umide e appiccicaticce, vi entro<br />

dentro. Un pulsare ritmico mi accoglie e un calore mi<br />

infonde un piacere mai provato. Faccio qualche<br />

rotolamento in avanti ma all’improvviso sento avanzare<br />

violenta l’acqua di qualche fiume sotterraneo. Vengo<br />

investito, travolto, ma non è acqua, è uno strano liquido<br />

biancastro, amarognolo, dall’odore acre e appiccicoso. Dal

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