Train the brain: studio clinico e sperimentale dell'efficacia di un ...
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SINOSSI<br />
I/II<br />
RAZIONALE<br />
<strong>Train</strong> <strong>the</strong> <strong>brain</strong>: <strong>stu<strong>di</strong>o</strong> <strong>clinico</strong> e <strong>sperimentale</strong><br />
dell’efficacia <strong>di</strong> <strong>un</strong> intervento <strong>di</strong> training<br />
cognitivo e fisico nella demenza.<br />
Il declino cognitivo legato all’invecchiamento è destinato a <strong>di</strong>ventare <strong>un</strong>’emergenza <strong>di</strong> grande<br />
impatto dal p<strong>un</strong>to <strong>di</strong> vista <strong>clinico</strong>, economico e assistenziale. L’età è, infatti, il fattore <strong>di</strong> rischio<br />
maggiore per lo sviluppo <strong>di</strong> demenza. In Italia abbiamo circa 700.000 pazienti affetti da demenza e<br />
circa 100.000 nuovi casi ogni anno. Sono <strong>di</strong>verse le patologie che possono condurre a demenza,<br />
ma le più <strong>di</strong>ffuse sono, <strong>di</strong> gran l<strong>un</strong>ga, la malattia <strong>di</strong> Alzheimer (Alzheimer's Disease, AD) e la<br />
demenza vascolare (DV).<br />
Attualmente non esistono ancora strategie terapeutiche efficaci: AD e DV sono ancora oggi<br />
patologie orfane <strong>di</strong> trattamento. Appare quin<strong>di</strong>, sempre più evidente la necessità <strong>di</strong><br />
sperimentare, validare ed attuare interventi <strong>di</strong> contenimento e rallentamento del<br />
deterioramento cognitivo a partire da <strong>un</strong>o sta<strong>di</strong>o iniziale della malattia.<br />
Noi proponiamo verificare l’efficacia <strong>di</strong> <strong>un</strong> intervento combinato <strong>di</strong> esercizio fisico e training<br />
cognitivo nel rallentare o arrestare la progressione dei sintomi in soggetti a rischio <strong>di</strong>, o<br />
con, AD e DV nelle fasi iniziali della malattia. Il razionale scientifico <strong>di</strong> tale proposta è<br />
spiegato <strong>di</strong> seguito.<br />
a): numerosi stu<strong>di</strong> nell’uomo hanno <strong>di</strong>mostrato che l’esposizione ad <strong>un</strong> ambiente cognitivamente e<br />
socialmente stimolante e l’esercizio fisico esercitano effetti benefici sulle f<strong>un</strong>zionalità cerebrali,<br />
particolarmente nell’anziano, e riducono il rischio <strong>di</strong> sviluppare patologie dementigene (ve<strong>di</strong> Laurin<br />
et. al, 2001; Fratiglioni et al., 2004; Podewils et al., 2005; Marx, 2005; Kramer ed Erickson, 2007).<br />
La riduzione del rischio <strong>di</strong> demenza stimata varia da <strong>stu<strong>di</strong>o</strong> a <strong>stu<strong>di</strong>o</strong> ma la maggior parte stima<br />
questa riduzione tra il 20 e il 50%.<br />
Una grande quantità <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> sperimentali sull’animale ha in parallelo mostrato come l’esercizio<br />
fisico e l’esposizione ad <strong>un</strong> ambiente cognitivamente e socialmente stimolante (combinazione nota<br />
come “ambiente arricchito”, AA) migliorino le prestazioni cognitive, rallentino il declino nell’anziano,<br />
esercitino azioni neuroprotettive e aumentino la plasticità sinaptica corticale (Cotman e Berchtold,<br />
2002; Marx, 2005; Nithianantharajah e Hannan, 2006). AA esercita anche <strong>un</strong>’azione positiva in<br />
modelli animali <strong>di</strong> AD (Adlard et al., 2005; Jankowsky et al., 2005; Lazarov et al., 2005; Berar<strong>di</strong> et<br />
al., 2006, 2007) determinando anche la remissione <strong>di</strong> deficit cognitivi già ben evidenti. Questi<br />
risultati mostrano la potenzialità <strong>di</strong> AA come strategia terapeutica non farmacologica non solo per<br />
prevenire l’insorgenza <strong>di</strong> deficit cognitivi ma anche per determinarne la remissione.<br />
Gli stu<strong>di</strong> che valutino in pazienti con demenza l’efficacia <strong>di</strong> <strong>un</strong> intervento combinato <strong>di</strong><br />
stimolazione psico-sensoriale, cognitiva e esercizio fisico sono pochi e presentano limiti<br />
metodologici.<br />
b): dati dalla letteratura <strong>sperimentale</strong> e clinica in<strong>di</strong>cano che la presenza <strong>di</strong> alterazioni cognitive<br />
modeste e <strong>di</strong> alterazioni cerebrali rilevabili con tecniche strumentali quali quelle <strong>di</strong> neuroimmagini<br />
strutturali e f<strong>un</strong>zionali, precedono <strong>di</strong> anni l’esor<strong>di</strong>o <strong>clinico</strong> della malattia sia per AD che per DV<br />
(Jones et al., 2004; Garrett et al., 2004 a e b; Bowler e Hachinsky, 2003, Bowler, 2005; DeCarli et<br />
al., 2007; Pike et al., 2007). A questa fase <strong>di</strong> “quasi malattia” si fa riferimento con il termine <strong>di</strong> Mild<br />
Cognitive Impairment (MCI). Nella maggioranza dei casi, l’MCI è <strong>un</strong>o sta<strong>di</strong>o che preann<strong>un</strong>cia <strong>un</strong>a<br />
demenza vera e propria (p.es. <strong>un</strong>a malattia <strong>di</strong> Alzheimer) con <strong>un</strong>a percentuale <strong>di</strong> progressione<br />
annuale molto più elevata (sino a 20 volte più frequente) rispetto alla popolazione anziana non-<br />
MCI, al p<strong>un</strong>to che circa il 70% <strong>di</strong> MCI dopo 5 anni dall'esor<strong>di</strong>o <strong>di</strong>ventano dementi. Si ipotizza che<br />
nella fase “preclinica” della demenza avvenga <strong>un</strong>a progressiva per<strong>di</strong>ta del numero, della efficacia e<br />
della mo<strong>di</strong>ficabilità delle connessioni sinaptiche in specifiche aree cerebrali. Il progre<strong>di</strong>re <strong>di</strong> tali<br />
alterazioni ed il loro manifestarsi in deficit cognitivi conclamati potrebbe essere contrastato<br />
attraverso interventi che contrastino la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> densità e f<strong>un</strong>zionalità sinaptica e che potenzino la<br />
plasticità neurale, favorendo in tal modo sia la formazione che il recupero delle tracce <strong>di</strong> memoria.<br />
Una identificazione precoce <strong>di</strong> soggetti MCI o nelle primissime fasi della demenza<br />
permetterebbe, in fase <strong>di</strong> intervento terapeutico/riabilitativo, <strong>di</strong> sfruttare al massimo le<br />
capacità plastiche del sistema nervoso ancora totalmente o parzialmente intatte in fase<br />
preclinica e renderebbe marcatamente più efficaci gli interventi operati nel tentativo <strong>di</strong><br />
prevenire o rallentare la progressione <strong>di</strong> tali soggetti verso la demenza grave.<br />
L’ipotesi scientifica alla base <strong>di</strong> questo progetto è quin<strong>di</strong> che interventi <strong>di</strong> stimolazione fisica e<br />
cognitiva possano impattare in modo significativamente positivo con il declino cognitivo in soggetti<br />
a rischio <strong>di</strong> sviluppare demenza o con demenza in fase iniziale. Questo traguardo -se raggi<strong>un</strong>to-<br />
comporterebbe <strong>un</strong> ritardo/assenza della per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> autosufficienza e, quin<strong>di</strong>, <strong>un</strong> miglioramento della<br />
qualità <strong>di</strong> vita del paziente e dei Caregivers con oneri piuttosto contenuti in termini <strong>di</strong> risorse<br />
tecnologiche ed umane, e quin<strong>di</strong> <strong>un</strong> risparmio sui costi <strong>di</strong>retti ed in<strong>di</strong>retti legati all’assistenza<br />
continuativa e senza rischi <strong>di</strong> particolari effetti collaterali.<br />
I