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Erthole - Sardegna Cultura

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accontando agli altri e a se stesso quant’era grande il mondo<br />

che lui credeva di avere conosciuto.<br />

Nei momenti difficili, il paese mi appariva come un<br />

luogo di salvezza. La voglia di tornarvi mi prendeva come<br />

un male segreto che nessuno riusciva a capire né a curare.<br />

– Cambiare aria? Prova… – mi aveva detto il medico<br />

amico, incapace di trovare un rimedio alla disperata cupezza<br />

in cui spesso cadevo.<br />

Ora ero lì. Scrutavo, misuravo, ma non riuscivo a orientarmi.<br />

Il paese, allora, aveva i suoi punti di riferimento. Lo ricordavo<br />

raccolto su quell’altura, compatto e sempre uguale a<br />

se stesso, come i profili delle colline e le balze dei monti sui<br />

quali sembrava si specchiasse. Adesso scorgevo solo frammenti,<br />

come se un cataclisma avesse cancellato anche la memoria<br />

di chi aveva tessuto le trame di un diverso vivere. Le<br />

case, più alte del campanile, avevano ricoperto Teti, il colle<br />

dei biancospini e degli asfodeli, e straripavano disordinatamente<br />

verso Seri, il canalone degli orti e delle vigne. Tentai<br />

di ripetere il gioco di quand’ero ragazzo: contare quante volte<br />

poteva stare il paese nell’arco che disegnava il golfo di Orosei,<br />

disteso nella sua luce, come sempre nei pomeriggi d’aprile, e<br />

stabilire quant’erano lontani Monte Corrasi e Mont’Albo,<br />

che pareva dovessero essere travolti anch’essi da quella fiumana<br />

di case. Con l’occhio destro seguivo il movimento del pugno<br />

proteso in avanti, ma distanze e volumi apparivano sconvolti,<br />

come se il paese non potesse più rapportarsi a niente.<br />

Bisognava inventare un altro gioco, quello del ricordo non<br />

riusciva più.<br />

Stavo per allontanarmi e risalire sulla macchina, quando<br />

notai la presenza di qualcuno che poco distante si sporgeva<br />

dal parapetto. Pareva fosse stato sempre lì. Senza distrarre lo<br />

sguardo dal paese, mi chiese cosa cercavo. Sorrideva, come<br />

se sapesse già tutto di me.<br />

– I tetti, i comignoli… – risposi osservandolo per capire<br />

qualcosa dall’abito che indossava. Avevo in mente ancora gli<br />

antichi schemi. Ma l’uomo non portava gambali né berretto a<br />

visiera, e al posto della camicia indossava un maglione a collo<br />

alto. Si sedette sul parapetto e disse che forse venivo da molto<br />

lontano; con la mano misurava distanze infinite di tempo.<br />

10<br />

Doveva essere molto giovane. Il suo viso però assumeva<br />

espressioni mutevoli, di ragazzo spaurito o di uomo segnato<br />

dalla vita, quando con lo sguardo frugava tutto ciò che gli<br />

stava attorno.<br />

– Siete di queste parti? – chiese ancora e rideva senza voglia,<br />

quasi volesse simulare un’allegria che non c’era. Non riuscivo<br />

a trovare niente in lui che lo collegasse al paese del mio<br />

ricordo. Allora ci conoscevamo e ci conoscevano a s’agherju, 1<br />

inconfondibile, come la nostra lingua e come i nudi sassi<br />

che pesavano sulla terra inaridita dai venti. Fuori non avevamo<br />

nome, ci chiamavano ghirtalos, come se gli unici segni<br />

della nostra identità fossero l’asprezza dei luoghi e il demone<br />

della trasgressione che sembrava possederci. Vivevamo nell’attesa<br />

di un mutamento, quasi fosse possibile uscire da noi<br />

stessi, e quando qualcuno ci chiedeva conto della nostra<br />

origine e della nostra natura, con aria vagamente ironica<br />

che non riusciva a nascondere la pena di quella diversità, rispondevamo<br />

che in ogni luogo di uomini ce n’erano bonos<br />

e malos.<br />

Avevo in mente i banduleris, come erano chiamati i ragazzi<br />

che andavano insonni di notte e di giorno senza mai<br />

trovare un luogo dove posarsi. Lo sconosciuto che mi stava<br />

davanti non cercava niente; il suo sguardo rivelava solitudini<br />

senza conforto. Dissi che dovevo andare; mi ero fermato un<br />

momento, per dare un’occhiata. L’uomo senza identità voleva<br />

apparire ospitale, e mi chiese se poteva fare qualcosa per<br />

me. Gli parlai della casa che cercavo e lui me la indicò, avvertendomi<br />

che vi avrei trovato solo le figlie, il padre e la<br />

madre erano andati via da tempo. Con sorrisi maliziosi voleva<br />

raccontarmi le ragioni di quella partenza.<br />

– Così vanno le cose del mondo, – commentò, fingendo<br />

una compunzione che non sentiva. Voltandosi di scatto,<br />

con l’indice puntato verso di me, disse che lui aveva capito<br />

subito chi ero. Sapeva anche della casa di <strong>Erthole</strong> che dovevo<br />

prendere in affitto. Mi fece piacere che la mia identità<br />

venisse rivelata in quel modo. Non mi sorprese che si conoscesse<br />

perfino lo scopo di quel mio ritorno. Nel paese, i fatti<br />

1. Fisionomia.<br />

11

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