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XXIV<br />
In una luce irreale di sole, cercavo in sogno la cava dove<br />
mi conduceva ogni giorno mio padre, che voleva insegnarmi<br />
un mestiere. Non trovavo le pietre e i sentieri che già<br />
conoscevo. Niente pareva potesse riconciliarmi con quella<br />
terra devastata. Ma le scaglie che affioravano tra gli sterpi<br />
anneriti dagli incendi indicavano ch’era quello il luogo. Del<br />
masso pauroso, sul quale s’infrangevano le nostre fatiche,<br />
restava soltanto quel labile segno.<br />
Mio padre era abile e amava la cava, che pure temeva.<br />
Palpava la pietra con le mani, per capirne il verso e la durezza.<br />
Qualche volta porgeva l’orecchio e ascoltava intento:<br />
diceva che qualcosa si sentiva, forse il respiro del tempo,<br />
imprigionato nei cristalli che davano forma e colore alla materia<br />
che lui voleva plasmare. I calcoli li affidava alle dita, in<br />
ognuna delle quali pareva si concentrasse il sapere del mondo.<br />
Inventava nuove geometrie per misurare gl’infiniti rapporti<br />
che legavano i volumi della pietra alle case che dovevano<br />
sorgere. Misurava anche le stagioni delle sue fatiche, e le<br />
attese di mia madre per i miseri guadagni sperati. Io però<br />
dovevo apprendere dai libri la sapienza di quei calcoli che<br />
rendevano forte mio padre, quando lanciava le sfide alle<br />
montagne.<br />
Era rimasto solo un anno in Spagna, dov’era andato a fare<br />
la guerra per il «sussidio» che doveva sfamarci. In quel luogo<br />
aveva lasciato anche un dito, e da allora non era più riuscito<br />
a fare un calcolo né a trovare un rapporto col mondo.<br />
– Manca il medio… – ripeteva e mostrava la ferita che<br />
straziava anche me. Sembrava che ogni sua capacità fosse<br />
caduta con quel povero dito. Non era più tornato alla cava,<br />
dove occorrevano intatte entrambe le mani per abbattere i<br />
massi giganteschi.<br />
Degli altri cavatori non avevo saputo più niente. Li ricordavo<br />
tristi, offesi col mondo e con se stessi. Era poco ciò<br />
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che dava la vendita a prezzi stracciati delle pietre cavate con<br />
rabbia. La sera rientravano avviliti in paese e si spiavano a<br />
vicenda, perché ognuno temeva che gli altri svendessero ancora.<br />
Le loro cave erano vicine alla nostra. Ne sentivo le voci<br />
e anche il picchiettare delle mazzette, dal cui ritmo capivo<br />
l’umore di ciascuno.<br />
Ora cercavo quei luoghi, ma non scorgevo niente. Sentivo<br />
però l’eco di uno strepito, uno sgrigliolare di passi sulle<br />
scaglie che un tempo ricoprivano lo spazio delle cave.<br />
Sembrava che il tempo non fosse mai passato. Ziu Nanneddu<br />
barcollava come allora. La sua barba sempre incolta<br />
era già bianca. Ricordavo il suo canto amaro per gli affamati<br />
cavatori che d’inverno chiedevano ai pastori un maiale o altra<br />
bestia promettendo pietre per l’estate.<br />
Porcu t’has presu in domo<br />
ma non zirriat como<br />
a tempus de pacare<br />
hat a zirriare.<br />
Ti sei portato in casa il maiale / ma non si lamenta ora / quando<br />
verrà il tempo di pagare / dovrà lamentarsi.<br />
Era stato il loro maestro. Li aveva presi quando Zuacchinu<br />
aveva scatenato in tutti il demone del comprare e del fare.<br />
Lui era gracile, sembrava non potesse sollevare la pesante<br />
mazzetta. Il mestiere lo conosceva, però. Beveva, pochi bicchieri<br />
ogni giorno, per tenersi allegro e ridere delle miserie<br />
sue e degli altri. Camminava curvo, quasi di corsa, per tenersi<br />
in equilibrio. Nessuno l’aveva mai visto ubriaco del tutto.<br />
Conosceva la ragione di quel mio ritorno alla cava, ma dovevo<br />
liberare gli altri da un’esistenza ch’era penoso allungare.<br />
– Morte iscoperit bida… 57<br />
Inciampava, ma riusciva a reggersi in piedi, e rideva senza<br />
cattiveria.<br />
Fra gli sterpi comparvero i cavatori, trafitti da una luce<br />
violenta, e nella landa delle cave scomparse pareva non ci fossero<br />
più ombre.<br />
57. La morte svela la vita.<br />
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