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– Non timédas… 58 –. Li esortava ziu Nanneddu. Si avvicinavano<br />
senza uscire dall’ostilità che li aveva sempre divisi.<br />
C’erano tutti. Pinnone, alto e curvo, con la sua tosse cavernosa<br />
da silicotico che riempiva tristemente il silenzio della<br />
landa; Borroscone, imbronciato con tutti e timido, come se<br />
covasse un rimorso; e gli altri che si erano incattiviti con me<br />
a Carbonia, quando anch’io costruivo dal nulla quella città<br />
di fantasmi.<br />
Non vedevo Pasqualino… Lo chiamavano Zesugristu,<br />
perché era mite e aveva sempre gli occhi rivolti al cielo come<br />
Cristo. Ragazzo anche lui, tagliava pietre nella cava di<br />
suo padre. Era svelto e sapeva riconoscere al tatto il filo del<br />
granito.<br />
– Ha tagliato più pietre Zesugristu…<br />
Mio padre parlava così perché voleva che anch’io mi<br />
sveltissi. Picchiavo più forte con la mazza, piangevo, ma non<br />
potevo uguagliare Pasqualino che lavorava anche per quel<br />
padre incapace.<br />
Le case, ormai, si costruivano con i blocchetti di cemento<br />
o con i mattoni che venivano da Livorno. In paese nessuno<br />
più ordinava pietre. Pasqualino, già grande, era andato a<br />
cavare sabbione in un fossato vicino al cimitero. Era svelto<br />
anche lì, e accontentava il padrone della blocchiera, che gli<br />
dava pochi soldi ogni mese. Una frana l’aveva seppellito.<br />
L’avevano lasciato così: tanto, era vicino al cimitero.<br />
I cavatori mostravano le mani indurite dai calli e dal freddo.<br />
Non potevano cavare sabbione, né fare altro, e le pietre<br />
erano finite. Se m’avevano fatto del male, era stata la vita a<br />
decidere così. La pietra li aveva induriti; la loro esistenza era<br />
sprofondata nei graniti da cui non potevano uscire.<br />
Non avevo memoria di offese, altro era il dolore che provavo.<br />
I cavatori non lasciavano niente, come me. Non c’erano<br />
più massi da saggiare per capirne la durezza, e le pietre<br />
delle case vagavano fra le rovine di sa Currentina.<br />
– Seppellisco qui i mei ricordi, – urlai. Il sole precipitava<br />
verso il tramonto.<br />
58. Non abbiate timore.<br />
134<br />
XXV<br />
Pareva un uccello triste pronto a spiccare il suo volo più<br />
alto. Attorno c’erano tanti massi, alcuni ricoperti di muschi<br />
riarsi, altri avviluppati nelle ramaglie contorte dei lentischi,<br />
ma lui aveva scelto una pietra solitaria che svettava su tutto.<br />
Volevo salire anch’io, e gli chiesi più volte d’indicarmi un varco,<br />
ma quella rocca pareva inaccessibile anche alla mia voce.<br />
M’avventurai su una rozza gradinata, e l’impervia salita<br />
mi condusse in cima a sa preda manna, che mi ricordava il<br />
masso smisurato della cava di mio padre. Ogni incontro con<br />
Luca era un riscoprire e rivivere la mia lontana età dei graniti.<br />
Lo vedevo di rado ormai. Andavo io a cercarlo nel suo<br />
ovile, o dove intuivo di poterlo trovare. Ma parlare fra noi<br />
era diventato penoso. Era irriconoscibile, non aveva più<br />
niente del ragazzo-uomo che avevo conosciuto. Gli chiedevo<br />
del fratello e lui rispondeva vagamente, come se non ricordasse<br />
o non avesse mai saputo. Mi diceva solo che sa zustissia<br />
cercava Bambinu, per la vita scellerata che aveva condotto, o<br />
forse per il male che si portava ancora dentro. Alle domande<br />
e alle minacce che gli avevano rivolto, aveva risposto con<br />
uno stupito chie n’ischit? 59<br />
– Quando avevo la tua età m’isolavo anch’io. Visitavo le<br />
pietre per scoprirne il filo.<br />
Sorrise, come se sapesse già di quelle mie disperate ricerche.<br />
Parlai ancora del mio destino che pareva segnato dal filo<br />
del granito.<br />
– A volte lo intuivo al tatto, ma spesso i quarzi della pietra<br />
mi apparivano indecifrabili, come la vita che ho vissuto…<br />
– Perché mi dite queste cose? – mi chiese con quella sua<br />
aria assente.<br />
59. Chi ne sa niente?<br />
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