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Nelle altre ore della giornata, zia Anzeledda vendeva anche<br />
il formaggio e la ricotta, ripetendo gesti e parole come<br />
in un rito. Tutto ciò che accadeva nella grande cucina aveva<br />
qualcosa di sacrale, come quel fuoco che non si spegneva<br />
mai. Il cortile era il centro di su Dominariu; vi sostavano anche<br />
i carri a buoi che trasportavano il grano e l’orzo per il<br />
mulino: quattro macine distribuite in due grandi stanzoni<br />
nella parte alta del casamento.<br />
L’idea del mulino, venuta da lontano, quando si predicavano<br />
i primi miracoli dell’autarchia, era apparsa subito come<br />
rottura di un mondo chiuso nella sua immutabilità, come<br />
sconvolgimento di tutto ciò che era conosciuto, come un<br />
male da subire. La breccia aperta nella muraglia del grande<br />
cortile per innalzare altre case e racchiudere altri spazi era<br />
stato l’inizio del mutamento, ma anche della caduta.<br />
Portatore dell’eresia era stato Nicola, mezzo parente, venuto<br />
da fuori con la testa piena di idee e «un’arte in ogni dito<br />
della mano». L’avevano accolto in casa e tacitamente gli<br />
avevano offerto una delle tante donne che intristivano nelle<br />
stanze di su Dominariu, dove mai voce di uomo aveva risuonato<br />
di giorno. I Mudadu erano un groviglio di stirpi che<br />
nessuno aveva mai potuto districare. I maschi, tutti famosi<br />
nel bene e nel male, rientravano in paese ogni tanto e solo<br />
di notte; avevano sempre fretta, il loro vivere era un eterno<br />
fuggire.<br />
Nessun uomo del paese aveva mai osato sollevare gli occhi<br />
alle donne di su Dominariu. Scoraggiavano le alte mura<br />
del cortile. Nicola invece non aveva avuto alcun timore; la<br />
scelta, a caso, era caduta su Caterina, la più mite; ma lui sapeva<br />
di essere entrato nei pensieri di tutte, compresa Carmína,<br />
ancora una ragazza allora, ma già scossa dalle stesse violente<br />
passioni dei parenti predatori, che domavano cavalli<br />
trafugati.<br />
Nicola non aveva mai detto una parola d’amore a Caterina<br />
e neppure alle altre donne di su Dominariu; parlava delle<br />
macchine che diceva di avere dentro la testa, tante macchine,<br />
grandi e piccole, capaci di compiere prodigi; ne elencava anche<br />
i nomi, che apparivano strani alle taciturne donne, la cui<br />
esistenza era stata regolata sempre dai ritmi delle stagioni,<br />
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dalle transumanze delle pecore e dalle cadute e resurrezioni<br />
dei parenti «sfortunati».<br />
Così, dalla testa di Nicola uscì il mulino, come veniva<br />
chiamato, anche se oltre alle macine comprendeva la centralina<br />
elettrica a «gas povero», con complicatissimi macchinari,<br />
il grande volano e l’alto torrione nero, che voracemente<br />
inghiottiva tutto il carbone che i carri facevano appena in<br />
tempo a trasportare dalle fornaci. Quando io, nella cucina<br />
di zia Anzeledda, provavo quegli oscuri turbamenti, Nicola<br />
viveva già la sua follia con le macchine e per su Dominariu<br />
cominciava l’inarrestabile rovina.<br />
In sa corte ’e Mudadu<br />
su sole s’est grissadu<br />
Nel cortile di Mudadu / il sole s’è oscurato<br />
era il lamento delle attitadoras a ogni caduta.<br />
Nessun Mudadu era morto su un letto. La loro irrequietudine<br />
si placava tra rocciai e sterpaglie dove cadevano imprecando.<br />
Li portavano in paese sul carro, coperti di frasche,<br />
col viso ancora stravolto dal furore che neppure la morte riusciva<br />
a distendere. Avevo visto così Canette, razziatore di<br />
giovenche. Attorniavano il carro sul quale era disteso uomini<br />
truci col cappuccio del gabbano calato sugli occhi. Le prefiche<br />
gridavano su teju nelle stanze alte di su Dominariu e il<br />
vento straziava i loro lamenti.<br />
– Era destino, – gridavano le donne che affollavano il<br />
cortile, perpetuando così la fama dei Mudadu che andavano<br />
incontro alla morte fuggendo.<br />
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