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– Potete aprire gli occhi, ora…<br />
Udivo la sua voce confusamente. Ero lontano; vedevo i<br />
fuochi dai quali ero stato escluso, grandi e senza fumo, con<br />
le fiamme più alte delle case e vedevo anche la gente che vi<br />
girava intorno cantando la filastrocca che anch’io conoscevo:<br />
A inghiriare, a inghiriare<br />
su punteddu ’e Santu Jubanne.<br />
Girando attorno, girando attorno / al fuoco di San Giovanni.<br />
I comparetti mancati mi esortavano ad andare a su ribu,<br />
per togliermi il nero dei carboni. Cercavo di dire che il tempo<br />
era passato, ma essi continuavano a chiamarmi girando<br />
in un moto senza fine. Percepivo la voce di Maddalena, debole<br />
come un’eco.<br />
– Il sole ci ha inseguito.<br />
Non potevo dire niente. Ero arrivato al paese, sudato per<br />
una corsa affannosa. Non c’era più nessuno, giravo attorno<br />
ai fuochi spenti chiamando i comparetti:<br />
– Sono venuto… andiamo a su ribu…<br />
Non mi rispondevano, e io continuavo a guardare gli arbusti<br />
anneriti dal fuoco.<br />
– Perché mi escludete…?<br />
Mi rispondeva un gemito.<br />
– Non ce la posso fare…<br />
Era la voce di mio padre nella cava. Lo vedevo, avvolto<br />
nel buio, insieme al masso contro il quale inutilmente si accaniva;<br />
e vedevo me, ragazzo, che cercavo di porgergli aiuto.<br />
– Siamo soli.<br />
Lui pensava alle pietre che non c’erano, e ai carri che sarebbero<br />
arrivati l’indomani all’alba.<br />
– Proviamo ancora con la leva, – suggeriva la mia illusione,<br />
ma il masso rimaneva solidamente piantato nel rocciaio<br />
dal quale mio padre lo voleva strappare.<br />
– È già notte, non ho più forze, – e si trascinava dietro<br />
la leva d’acciaio che la stanchezza rendeva ancora più pesante.<br />
Io lo seguivo in silenzio e tutto mi dava dolore: la<br />
sua disperazione, la cava ostile e la mia impotente acerbità.<br />
126<br />
Non pensavo più ai fuochi di San Giovanni che ormai avrei<br />
potuto vedere solo da lontano.<br />
Sas oras chi si disizan<br />
curren e bolan che bentu<br />
Le ore che si desiderano / corrono e volano come il vento<br />
ripeteva Maddalena, e il suo canto pareva mi facesse risalire<br />
dall’abisso. Sentivo il calore del suo corpo e provavo un piacere<br />
mai conosciuto; l’avrei voluto gridare, ma dissi solo:<br />
– Non posso…<br />
– Svegliatevi. Sono io.<br />
Aprii gli occhi; Maddalena era china su di me. In alto,<br />
tra le aperture di su punteddu, si scorgeva un angolo di cielo.<br />
– Il sole è andato via, ha atteso che vi svegliaste.<br />
Mi chiese se avevo sognato.<br />
– Ero lontano da qui.<br />
– Eravate nella cava?<br />
Sorpreso, le domandai cosa sapesse della cava.<br />
– Non c’è niente di male, voi sapete di me e io di voi…<br />
Vi dispiace?<br />
Uscimmo dalla nicchia. Era già il crepuscolo. Maddalena<br />
misurava con lo sguardo la montagna degli asfodeli che aveva<br />
il colore malinconico delle cose che devono perire. Proposi di<br />
andare da Paschedda, e lei mi pregò di attendere ancora; voleva<br />
che le parlassi della cava.<br />
– Non c’è niente da dire. È un ricordo che m’insegue<br />
da quando sono qui.<br />
– È lontana da <strong>Erthole</strong>?<br />
– Forse no. Ma non voglio pensarci.<br />
– So che ci volete andare, perché non mi portate con<br />
voi?<br />
Le risposi che vi avremmo trovato solo rovine; lei insistette<br />
e io promisi che saremmo andati insieme. Strappava<br />
manciate d’asfodelo e le sbriciolava affidandole al vento.<br />
– Sapete, forse sono guarita, le cose le ricordo ora… anche<br />
quelle che volevate sapere voi, me le ripeto spesso. Volete<br />
che provi?<br />
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