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Erthole - Sardegna Cultura

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osso e il comignolo alto, e la cercavo. Ma a chiudere la piazzola<br />

restavano solo torrette senza grazia, ostili l’una all’altra<br />

ed estranee a tutto. Apparivano pretenziose, con le scale di<br />

marmo, i portoncini lustrati e le finestre una sull’altra quasi a<br />

tenere la contabilità dei piani. Schiacciai il pulsante di un<br />

campanello, e la porta che avevo davanti si aprì subito, come<br />

se la ragazza che comparve fosse stata ad attendermi. Era giovanissima,<br />

una bambina si sarebbe detto, se una natura impaziente<br />

non l’avesse dotata così precocemente, mettendole<br />

addosso le smanie di un’altra età. Disse tante parole, esageratamente<br />

contenta per il mio arrivo. Si chiamava Paschedda.<br />

Quando mi lasciò parlare le spiegai che il mio ritardo era dovuto<br />

a un disguido e che a <strong>Erthole</strong>, per la consegna della casa,<br />

mi sarei recato l’indomani. Mi condusse nella «sala da<br />

pranzo», uno stanzone stipato di mobili, dove tutto riluceva<br />

freddamente. La ragazza, compiaciuta, insisteva perché sedessi<br />

su un enorme divano in finta pelle. Nessuna traccia della<br />

casa del mio ricordo. Mi sentivo depredato di qualcosa e tutto<br />

mi appariva senza identità, come l’uomo di sa Pred’iscritta.<br />

Volevo vedere e sentire altri e chiesi di Maddalena, l’altra ragazza<br />

della quale mi aveva parlato Saverio, l’amico che aveva<br />

trattato per mio conto la casa di <strong>Erthole</strong>.<br />

– Se ne sta in cucina, questa stanza non le piace. Verrà<br />

dopo.<br />

Pur non avendola mai vista, mi sentivo solidale con quella<br />

sorella che non amava la «sala da pranzo». Chiesi di poter<br />

andare in cucina e Paschedda si mostrò delusa, come se quei<br />

mobili che lei puliva e ripuliva tutti i giorni si fossero immiseriti<br />

di colpo.<br />

Trovammo Maddalena seduta su uno sgabello, davanti<br />

al camino spento, tutta raccolta su un telo che tentava di ricamare.<br />

Il suo sguardo era distratto, assente e ogni suo movimento<br />

pareva gravato da una stanchezza che non era del<br />

corpo. I cerchi che tracciava con l’ago si restringevano impercettibilmente,<br />

man mano che la gugliata si consumava nel ricamo,<br />

una macchia di rosso e di giallo straziata ogni tanto da<br />

interruzioni. L’estremo pallore che traspariva dal suo viso senza<br />

allegria e dall’esile collo pareva l’ultimo riflesso di qualcosa<br />

che si era consumata nella sua mente. Ricordai le parole di<br />

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Saverio: «La sorella grande è così… da allora non è più in sé».<br />

Quando si accorse della mia presenza, cercò di raccogliere<br />

affrettatamente il telo, come se quel ricamo contenesse l’itinerario<br />

di un dolore segreto. Paschedda m’indicò una sedia<br />

dietro il piccolo tavolo, ma io non riuscivo a distrarre lo<br />

sguardo dal camino. Lo ricordavo acceso; io seduto nell’angolo<br />

dov’era rimasta Maddalena, che pareva si riscaldasse a<br />

quel fuoco lontano. Parlai del camino, dei tronchetti di leccio<br />

da cui si levavano fiamme corte e vive, e di ciò che c’era<br />

allora nella cucina. Paschedda era contrariata; voleva cambiare<br />

discorso. Io mi sentivo sempre più solidale con Maddalena,<br />

smemorata custode di memorie.<br />

– C’era Vargiolu, allora…<br />

– Non l’abbiamo conosciuto noi… – m’interruppe Paschedda,<br />

che raccontò della casa rifatta e delle vecchie pietre<br />

sostituite con mattoni di Livorno a sei fori.<br />

– La cucina no…<br />

La voce di Maddalena, sommessa e lontana, pareva salisse<br />

dalle rovine della vecchia casa. Si alzò in piedi e mi salutò<br />

con un impercettibile cenno del capo. I suoi movimenti incerti<br />

davano l’idea di un’armonia incrinata. Parlò ancora, e<br />

la sua voce tradiva la paura di non essere creduta; lo sguardo<br />

non riusciva a posarsi su niente.<br />

– Ziu Vargiolu io l’ho visto… in sogno.<br />

Paschedda stroncò rudemente quelle babusínas. 2 Maddalena<br />

tentò di raccontare ugualmente il suo sogno. Si smarriva<br />

però, sembrava che tutti i suoi ricordi fossero condensati<br />

nelle poche parole che riusciva a dire, ripetendole penosamente.<br />

– Il camino… il fuoco… il mio male… ziu Vargiolu diceva…<br />

Paschedda voleva parlare della casa di <strong>Erthole</strong>, ma io<br />

non riuscivo ad ascoltarla, mi ero perduto nel ricordo di<br />

quel camino acceso, con Vargiolu che arrostiva carne allo<br />

spiedo e raccontava a un mio zio della vitella che aveva trafugato<br />

la notte precedente da un luogo lontano, che non si<br />

riusciva a raggiungere neanche col pensiero.<br />

2. Discorsi lagnosi, inconsistenti.<br />

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