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– A dinare o in cambiu? – chiedevano ancora le donne.<br />
– A dinare, – diceva Zuacchinu, che comprava grano,<br />
formaggio, pelli, agnelli e quant’altro trovava, offrendo la<br />
moneta che poi si riprendeva con sos imbentos.<br />
– Denari non ce ne sono, ora.<br />
– Non importa, prendi quello che ti piace, i denari verranno<br />
dopo.<br />
Le donne trattavano da sole le vendite e le compere. Gli<br />
uomini s’infuriavano.<br />
– Zuacchinu t’incantat s’anima.<br />
Ma neanche loro riuscivano a resistere alla tentazione di<br />
vedere, di toccare e di provare sos imbentos, che parevano fatti<br />
anche pro sos mascros. La gente pareva uscita di senno, come<br />
se l’avesse cavalcata il diavolo. Gli antichi legami erano<br />
stati spezzati; tutti, senza speranza di ponnere lana, ruotavano<br />
attorno al nodo di Zuacchinu. Ciò che davano le pecore e la<br />
terra pareva andasse in fumo. Si bentulabat tutto, ciascuno<br />
era preso da una sola grande bramosia: comporare a dinare.<br />
I fiumi che confluivano nel mare grande di Zuacchinu<br />
erano molti: i negozi, il caseificio, il mulino, le terre, le greggi,<br />
gli armenti, il denaro dato a oriellu e l’esattoria delle imposte,<br />
affidata a un collettore, un uomo taciturno venuto da<br />
fuori, la cui moglie, Annanghela sa Borrochinuda, come la<br />
chiamavano nel paese, parlava anche per lui. L’esattoria occupava<br />
uno stanzone nella casa di Zuacchinu, un luogo triste<br />
come la prigione per chi vi si recava a contestare l’ingiustizia<br />
di un tributo o la fulmineità dei pignoramenti che colpivano<br />
le pecore e la casa. Annanghela conosceva le leggi, nelle cui<br />
pieghe si rifugiava quando le donne che affollavano lo stanzone<br />
gridavano le loro ragioni. Gridava anche lei e piangeva,<br />
mentre spiegava che la legge era spietata con tutti, anche con<br />
lei, che aveva il «non riscosso». Ricorreva a quella formula arcana<br />
per dire che non c’era niente da fare.<br />
– Se non paghi ti devo spogliare, – ripeteva e il suo pianto<br />
pareva non potesse trovare conforto. Il marito collettore<br />
abbassava la testa e continuava a fare i conti della «mora», altro<br />
castigo al quale nessuno poteva sfuggire.<br />
Nello stanzone dell’esattoria mi ero recato anch’io. Non<br />
potevamo pagare ciò che ci veniva chiesto per Baroledda.<br />
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La somma era scritta su un foglio rossiccio, che indicava<br />
anche la «mora».<br />
– La diamo a compare Franziscu, – aveva detto mio padre.<br />
Sapevo quale sorte poteva riservare a Baroledda quel<br />
compare che aveva già immolato il suo cane con un colpo di<br />
mazzetta sulla testa. Il mondo si reggeva sulla formula oscura<br />
del «non riscosso», che Annanghela ripeteva anche a me. Erano<br />
alti i clamori che si levavano dalla folla quel giorno. Nel<br />
paese si viveva di stenti e nessuno poteva pagare niente. Nella<br />
stanza era entrato Zuacchinu e aveva osservato, senza dire una<br />
parola. Annanghela gridava più di tutti. Le mostravo il foglio<br />
che stringevo nel pugno e le chiedevo un rimedio. Ma la sorte<br />
di un cane non contava niente. C’era altro su cui piangere.<br />
– Muda, tue, – aveva gridato Zuacchinu, col bastone<br />
puntato sulla folla che vociava. Era sceso il silenzio, come<br />
dopo un tuono. Il marito collettore aveva alzato la testa e<br />
Zuacchinu gli aveva consegnato il mio foglio.<br />
Ero corso a casa quando ormai era già sera.<br />
– Baroledda… una macchina… – tentava di dire mio<br />
padre, mentre io raccontavo che Zuacchinu aveva trovato il<br />
rimedio. Prima ancora di capire sentivo il dolore per ciò<br />
ch’era accaduto. Poche macchine passavano in quel tratto di<br />
strada che conduceva alla cava. Baroledda, sempre discreta,<br />
sapeva che anche la vita dei cani era appesa al destino del<br />
«non riscosso»…<br />
Mancava il fiume del «Mulino». I Mudadu erano malos<br />
a mòrrere, avevano sette anime come i gatti. Nessuno aveva<br />
mai resistito tanto a Zuacchinu, che le aveva tentate tutte,<br />
in bonas e in malas. Da tempo aveva fatto costruire le linee<br />
per il trasporto dell’energia da fuori, quella che veniva dall’acqua<br />
del Cedrino, non dal fumo della carbonella, ma la<br />
«Concessione» non arrivava. Furente per quell’affronto, di<br />
notte mandava a rompere le poche lampadine di Nicola, facendo<br />
poi verbalizzare dal Maresciallo dei Carabinieri il disservizio.<br />
Quando l’ordine arrivò i Mudadu erano tutti isperdidos<br />
da tempo; si era già concluso anche il destino di Nina,<br />
che non era più uscita dalla sua follia. La festa del consenso,<br />
i canti e gli applausi della gente, quando si accesero le nuove<br />
luci in quella sera di maggio, non avevano connoschimentu.<br />
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