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– Qui c’era la prima casa. Sparita. Anche altre ne sono<br />
sparite. Il mulino… Io… il latte… –. Gli strilli di su Riccu<br />
giungevano a intermittenza. Entrammo nell’arena anche noi.<br />
Saverio parlava di Zuacchinu, delle case che aveva portato<br />
via alla povera gente e di tutto ciò che aveva demolito e ricostruito.<br />
Io guardavo i palazzotti devastati e le campate dei<br />
tetti, straziate nei tratti che mettevano a nudo l’incannucciato.<br />
Era come se il tempo si fosse materializzato gravando<br />
su tutto, un peso che curvava le pietre come aveva curvato<br />
gli uomini. Seguivo con lo sguardo i cerchi dell’arena, e a<br />
un tratto tutto mi ruotò attorno, anche Saverio e su Riccu,<br />
non più ingobbito e con una voce chiara.<br />
– Torniamo indietro, – riuscii a dire. Saverio mi prese<br />
sottobraccio e mi condusse nell’androne, chiedendomi ripetutamente<br />
come mi sentivo. – Un po’ di capogiro, – cercai<br />
di giustificarmi.<br />
– Capita, a volte, – mi tranquillizzò su Riccu, che ci<br />
aveva raggiunto. Chiesi della lite, volevo uscire definitivamente<br />
da quell’incubo. Su Riccu si asciugò gli occhi e si fece<br />
una risatina.<br />
– Mai finirà, se la porteranno all’altro mondo –. Dissi<br />
che avevo sentito parlare di un accordo.<br />
– Lui non vuole, – ridacchiò su Riccu.<br />
– Volevate bene al vostro padrone?<br />
– Chi lo può dire… non era un uomo come gli altri; era<br />
difficile affezionarglisi, ed era difficile lasciarlo… ti sentivi<br />
uno straccio davanti a lui.<br />
Attraversammo un lungo corridoio sul quale si affacciavano<br />
un’infinità di porte chiuse. Lasciavamo le impronte sulla<br />
polvere che ricopriva il pavimento. Anche i calcinacci caduti<br />
dagli stucchi del soffitto erano diventati polvere. I misteri di<br />
sa galera pareva fossero custoditi dietro quelle porte. Su Riccu<br />
raccontava ciò ch’io già sapevo.<br />
– La stanza di Flavio. Si è ucciso con un colpo solo…<br />
non volevano che si sposasse –. Gli occhi gli lacrimavano di<br />
più, come se nel raccontare piangesse.<br />
– Se volete entrare, – disse indicando un’altra porta chiusa,<br />
– Nina non era pazza, anzi… li ha fatti correre giorno e<br />
notte… mai l’avrebbero presa, sapeva cavalcare… L’ho vista<br />
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consumarsi, non mangiava più –. Saverio mi guardava, era<br />
preoccupato per il mio malessere. Disse che non era il caso di<br />
aprire le porte, e su Riccu riprese a raccontare le storie nascoste<br />
in quelle stanze chiuse. Alla fine, voltando la faccia dall’altra<br />
parte, come per una ripulsa, indicò l’ultima porta.<br />
– Lì c’era Natalia… quella sì pazza. Su mere non lo voleva,<br />
diceva che puzzava ancora di sapone.<br />
– I figli di Zuacchinu non ti piacciono, – disse Saverio<br />
a su Riccu, che si fermò di colpo.<br />
– Anche la terra che calpestano si rivolta contro di loro.<br />
Quello grande, del quale non voglio pronunciare neanche il<br />
nome, è un impicca babbos; e anche gli altri… dalla buonanima<br />
non hanno preso niente, tutti seme di cane sono.<br />
Attraverso altri corridoi arrivammo al salone dei negozi.<br />
– Qui c’era Alloddia.<br />
– Buono anche quello, – commentò su Riccu.<br />
– Era uomo di chiesa, uomo fidato…<br />
– Ci hanno mangiato tutti –. Non disse altro. Dopo<br />
aver preso fiato ci chiese cosa volevamo vedere ancora.<br />
– La stanza di Zuacchinu, – risposi. Saverio, sorpreso,<br />
voleva dissuadermi.<br />
– C’è solo pupughine, – commentò su Riccu contrariato.<br />
Dopo averci fatto salire la scala con i gradini sagomati ci<br />
condusse per altri anditi.<br />
– Se volete… – brontolò. Un tanfo insopportabile ci<br />
fermò alla porta che egli aprì con un cigolio lacerante.<br />
– Profumo gentile, – ridacchiò. I mobili erano coperti<br />
con dei lunghi teli, ma la polvere del disfacimento era visibile<br />
ugualmente, attorno al letto soprattutto, che doveva essere<br />
di legno massiccio.<br />
Mi lasciarono solo a spiare il mondo dal balcone, l’osservatorio<br />
di Zuacchinu. Sullo sfondo non riuscivo a vedere altro<br />
che casermoni sgraziati; era stato devastato anche il cortile<br />
della scuola dove io mi accovacciavo. Il mio sguardo tornò<br />
ai tetti e ai palazzotti sottostanti. Mi sembrava si scomponessero<br />
riempiendo la grande arena di casupole, di cortili e di<br />
vicoli. Era come se in una improbabile resurrezione riprendesse<br />
la sua forma il mondo povero ch’era scomparso senza<br />
lasciare traccia.<br />
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