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da quel suo fantasticare senza freno. <strong>Erthole</strong> nel suo racconto<br />
non era un luogo qualsiasi: era la somma di cento, di mille,<br />
di tutti i possibili luoghi della terra, ricordo di un mondo già<br />
esistito o speranza di ciò che poteva esistere in un altro tempo…<br />
Si ridestava di notte, quando tutto entrava in sonno.<br />
– Parlano in suspu, – aveva cercato di spiegarmi, citando<br />
esempi. Si riferiva a un linguaggio fatto di metafore, dove<br />
tutto scorre in un labile campo di probabilità. Gli avevo<br />
chiesto se non m’avesse raccontato la storia di un mondo di<br />
folli e lui, ridendo, m’aveva risposto che forse era così.<br />
– La follia è la parte grande del mondo, – aveva sentenziato.<br />
Tra intrichi di pietre e di tronchi ero convinto di vedere<br />
quei cercatori muoversi nella notte di <strong>Erthole</strong>. Anche grida e<br />
risate mi pareva di udire, e parole staccate, ma il senso mi<br />
sfuggiva. Mi alzai imprecando contro quel sapere di cui m’ero<br />
nutrito che conduceva soltanto a rinnegare la propria natura.<br />
Andavo senza sapere dove; non volevo tornare alla casa, anche<br />
se era notte alta.<br />
Davanti alla casupola di Luca mi accolse l’abbaìo sommesso<br />
del cane che avevo già conosciuto, un saluto che mi<br />
richiamò dallo stupore. Consapevolmente non m’ero proposto<br />
di recarmi in quel luogo. Cominciavo a credere alle<br />
intenzioni, anche a quelle più recondite. Nel rocciaio avevo<br />
pensato molto a Luca, mi tornava in mente, in modo ossessivo,<br />
quel «cerca qualcosa» che m’aveva detto su Mudu e mi<br />
pareva di vederlo domandare con parole a me incomprensibili;<br />
forse voleva sapere qualcosa di suo fratello. La porta<br />
della casupola era aperta. Chiamai più volte guardandomi<br />
attorno. Mi rispose ancora il cane. Neppure delle pecore<br />
c’era traccia, forse riposavano da qualche parte.<br />
Seduto sul ceppo d’un tronco pensavo ancora alle fiere<br />
notturne di <strong>Erthole</strong> e cercavo di figurarmi quei misteriosi incontri.<br />
Il tramonto della luna e il buio profondo che seguì<br />
indicavano che l’alba era prossima. Avevo addosso un’insolita<br />
inquietudine. Mi alzai e chiamai il cane che mi rispose uggiolando.<br />
Mi tornarono in mente i miei terrori di ragazzo,<br />
nella casa isolata, con mia madre che la sera spargeva farina<br />
di grano davanti alla porta, per fermare gli spiriti del male.<br />
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– Non possono entrare – mi rassicurava, e per scongiurare<br />
ogni disgrazia segnava i muri col sego del maiale. Nel<br />
paese credevano che i dannati andassero di notte e che prima<br />
di varcare il limite della casa dovessero contare nel buio<br />
gli infiniti grani della farina, le cui scie bianche si dissolvevano<br />
all’alba col vento, insieme alle follie temute. Rimanevano<br />
per giorni e mesi i segni tenebrosi sui muri che io non potevo<br />
guardare senza chiamare Baroledda, la cagnetta bastarda<br />
con la quale fingevo di giocare per nascondere le mie paure.<br />
La tenevo stretta e lei guaiva. Mi stava sempre appresso, anche<br />
nella cava, dove mio padre mi conduceva ogni giorno.<br />
Baroledda era discreta anche all’ora del pasto. Si teneva in<br />
disparte vicino ai ferri che doveva guardare e attendeva. Il<br />
cibo era poco per tutti nella cava, pane asciutto e qualche<br />
volta un po’ di formaggio che mio padre ripartiva con cura,<br />
dando a me qualcosa di più, perché dovevo crescere ancora.<br />
– Mangia tutto, ho lasciato la parte anche per lei, – mi<br />
diceva e indicava la cagnetta che si accucciava guardinga ai<br />
miei piedi e toccava il suo pane soltanto quando le accarezzavo<br />
la macchia bianca sul fianco sinistro.<br />
Quando a sera tornavamo in paese, Baroledda mi faceva<br />
le feste. Conosceva i sentieri, anche quelli più nascosti, e ci<br />
guidava. Per gioco scompariva ogni tanto fra le siepi e attendeva<br />
che io la cercassi. Giungeva per prima alla fonte e si<br />
fermava vicino all’anfratto dove mio padre nascondeva ogni<br />
sera il barilotto che usavamo per l’acqua. Anche a mia madre<br />
piaceva Baroledda. La chiamava vezzeggiandone il nome,<br />
come faceva con i figli più piccoli, e d’inverno, accanto<br />
al camino, le offriva per cuccia un lembo della gonna che teneva<br />
per casa…<br />
– Qualcuno confonde la notte col giorno –. Era la voce<br />
di Luca che saliva chiara dal buio, un rimprovero nel tono<br />
scherzoso. Senza vederlo indovinavo la direzione dai movimenti<br />
del cane, che andava avanti e indietro, in una corsa<br />
festosa, e abbaiava.<br />
– Come te, – risposi e cercavo di scorgere almeno la sua<br />
ombra.<br />
– Io sono un pastore –. Ora lo vedevo alto davanti a<br />
me. Era comparso con i primi bagliori dell’alba. Mi chiese<br />
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