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Erthole - Sardegna Cultura

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da quel suo fantasticare senza freno. <strong>Erthole</strong> nel suo racconto<br />

non era un luogo qualsiasi: era la somma di cento, di mille,<br />

di tutti i possibili luoghi della terra, ricordo di un mondo già<br />

esistito o speranza di ciò che poteva esistere in un altro tempo…<br />

Si ridestava di notte, quando tutto entrava in sonno.<br />

– Parlano in suspu, – aveva cercato di spiegarmi, citando<br />

esempi. Si riferiva a un linguaggio fatto di metafore, dove<br />

tutto scorre in un labile campo di probabilità. Gli avevo<br />

chiesto se non m’avesse raccontato la storia di un mondo di<br />

folli e lui, ridendo, m’aveva risposto che forse era così.<br />

– La follia è la parte grande del mondo, – aveva sentenziato.<br />

Tra intrichi di pietre e di tronchi ero convinto di vedere<br />

quei cercatori muoversi nella notte di <strong>Erthole</strong>. Anche grida e<br />

risate mi pareva di udire, e parole staccate, ma il senso mi<br />

sfuggiva. Mi alzai imprecando contro quel sapere di cui m’ero<br />

nutrito che conduceva soltanto a rinnegare la propria natura.<br />

Andavo senza sapere dove; non volevo tornare alla casa, anche<br />

se era notte alta.<br />

Davanti alla casupola di Luca mi accolse l’abbaìo sommesso<br />

del cane che avevo già conosciuto, un saluto che mi<br />

richiamò dallo stupore. Consapevolmente non m’ero proposto<br />

di recarmi in quel luogo. Cominciavo a credere alle<br />

intenzioni, anche a quelle più recondite. Nel rocciaio avevo<br />

pensato molto a Luca, mi tornava in mente, in modo ossessivo,<br />

quel «cerca qualcosa» che m’aveva detto su Mudu e mi<br />

pareva di vederlo domandare con parole a me incomprensibili;<br />

forse voleva sapere qualcosa di suo fratello. La porta<br />

della casupola era aperta. Chiamai più volte guardandomi<br />

attorno. Mi rispose ancora il cane. Neppure delle pecore<br />

c’era traccia, forse riposavano da qualche parte.<br />

Seduto sul ceppo d’un tronco pensavo ancora alle fiere<br />

notturne di <strong>Erthole</strong> e cercavo di figurarmi quei misteriosi incontri.<br />

Il tramonto della luna e il buio profondo che seguì<br />

indicavano che l’alba era prossima. Avevo addosso un’insolita<br />

inquietudine. Mi alzai e chiamai il cane che mi rispose uggiolando.<br />

Mi tornarono in mente i miei terrori di ragazzo,<br />

nella casa isolata, con mia madre che la sera spargeva farina<br />

di grano davanti alla porta, per fermare gli spiriti del male.<br />

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– Non possono entrare – mi rassicurava, e per scongiurare<br />

ogni disgrazia segnava i muri col sego del maiale. Nel<br />

paese credevano che i dannati andassero di notte e che prima<br />

di varcare il limite della casa dovessero contare nel buio<br />

gli infiniti grani della farina, le cui scie bianche si dissolvevano<br />

all’alba col vento, insieme alle follie temute. Rimanevano<br />

per giorni e mesi i segni tenebrosi sui muri che io non potevo<br />

guardare senza chiamare Baroledda, la cagnetta bastarda<br />

con la quale fingevo di giocare per nascondere le mie paure.<br />

La tenevo stretta e lei guaiva. Mi stava sempre appresso, anche<br />

nella cava, dove mio padre mi conduceva ogni giorno.<br />

Baroledda era discreta anche all’ora del pasto. Si teneva in<br />

disparte vicino ai ferri che doveva guardare e attendeva. Il<br />

cibo era poco per tutti nella cava, pane asciutto e qualche<br />

volta un po’ di formaggio che mio padre ripartiva con cura,<br />

dando a me qualcosa di più, perché dovevo crescere ancora.<br />

– Mangia tutto, ho lasciato la parte anche per lei, – mi<br />

diceva e indicava la cagnetta che si accucciava guardinga ai<br />

miei piedi e toccava il suo pane soltanto quando le accarezzavo<br />

la macchia bianca sul fianco sinistro.<br />

Quando a sera tornavamo in paese, Baroledda mi faceva<br />

le feste. Conosceva i sentieri, anche quelli più nascosti, e ci<br />

guidava. Per gioco scompariva ogni tanto fra le siepi e attendeva<br />

che io la cercassi. Giungeva per prima alla fonte e si<br />

fermava vicino all’anfratto dove mio padre nascondeva ogni<br />

sera il barilotto che usavamo per l’acqua. Anche a mia madre<br />

piaceva Baroledda. La chiamava vezzeggiandone il nome,<br />

come faceva con i figli più piccoli, e d’inverno, accanto<br />

al camino, le offriva per cuccia un lembo della gonna che teneva<br />

per casa…<br />

– Qualcuno confonde la notte col giorno –. Era la voce<br />

di Luca che saliva chiara dal buio, un rimprovero nel tono<br />

scherzoso. Senza vederlo indovinavo la direzione dai movimenti<br />

del cane, che andava avanti e indietro, in una corsa<br />

festosa, e abbaiava.<br />

– Come te, – risposi e cercavo di scorgere almeno la sua<br />

ombra.<br />

– Io sono un pastore –. Ora lo vedevo alto davanti a<br />

me. Era comparso con i primi bagliori dell’alba. Mi chiese<br />

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