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– Sos benes… altro fuoco per il sangue caldo dei Mudadu<br />
–. Parlando del mulino come imbentu per aggiungere<br />
ricchezza a ricchezza, voleva toccare le radici di quel male<br />
che in un fare irrefrenabile spingeva a distruggere più di<br />
quanto ci s’illudesse di creare. Salvava l’idea, ma condannava<br />
l’innesto innaturale.<br />
– … Divorava tutto ciò che gli stava attorno… unu male<br />
mannicadore… 23 Dammelo quel bicchiere di vino che ho<br />
lasciato in sospeso.<br />
Glielo porsi e lo bevve d’un fiato, facendo schioccare la<br />
lingua. Era eccitato.<br />
– E Zuacchinu? la «Cremona»?… –. Ma su Mudu non<br />
aveva più voglia di raccontare.<br />
– Sei mai stato in casa di Zuacchinu? – mi chiese.<br />
– Tanto tempo fa.<br />
– Tornaci, se puoi. Ti aiuterà a capire come vanno le cose<br />
della vita… Sì, devo andare ora, – soggiunse, quasi rispondendo<br />
a se stesso. Domandai se tornava al suo ovile; andava<br />
dalle pecore.<br />
– Ti accompagno?<br />
– No, voglio star solo, ho parlato troppo –. Con pochi<br />
passi si allontanò dalla casa. Io lo seguii per un tratto. Volevo<br />
fargli capire che gli ero grato per le cose che mi aveva raccontato.<br />
M’impose di tornare indietro. Poi si voltò di scatto<br />
e disse che la storia della «Cremona» la conoscevano anche i<br />
sassi. Quei soldati avevano legato senza fune l’anima e la carne<br />
delle donne. Si erano impossessati del tempo dell’attesa.<br />
– Gli accunnados di oggi sono i figli della «Cremona», –<br />
mi gridò alla fine, e riprese il sentiero che si era tracciato<br />
guardando le stelle. Si dileguò prima che cadesse l’eco delle<br />
sue parole e io continuai a salutarlo agitando la mano.<br />
23. Un male che divora.<br />
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XIII<br />
Tacere per capire, diceva su Mudu convinto che solo nel<br />
silenzio fosse possibile intendere gli infiniti segni in cui si riflette<br />
il mondo…<br />
Seguendo un antico vizio della mente, mi ripetevo quello<br />
che dovevo e non dovevo fare, come se tutto dipendesse<br />
da un atto della volontà. Altro occorreva per la mia «rigenerazione».<br />
Dovevo tornare alla lingua di mia madre, recuperarne<br />
l’estro e la creatività; dovevo liberarmi da tutto ciò che<br />
di costruito e di innaturale c’era in me; dovevo ritrovare la<br />
stupita innocenza dell’infanzia.<br />
Ciò che percepivo a volte era nitido, vicinissimo, quasi<br />
palpabile; a volte debole e soffocato, come disperso nel buio<br />
della notte da un vento lontano.<br />
<strong>Erthole</strong> era un luogo di confluenze, di incontri e di mediazioni,<br />
ma anche un luogo di furibondi contrasti. Me ne<br />
avevano parlato tanto, ammonendomi tutti a non osare e io,<br />
per sfida, scuotendo le inerzie che legavano la mia grigia esistenza,<br />
avevo oltrepassato le fatidiche colonne.<br />
– È come una grande fiera, – m’aveva detto Saverio, il<br />
mercante amico, l’unico che non m’avesse sconsigliato. – Vengono<br />
da tutte le parti, gente di ogni condizione, a cercare<br />
l’introvabile. A volte si minacciano e si azzuffano, a volte fanno<br />
la pace e si promettono amicizia. Le cose del mondo si<br />
sanno così…<br />
Gli avevo chiesto perché a <strong>Erthole</strong>, e perché di notte<br />
quei misteriosi incontri. Saverio aveva raccontato ancora, a<br />
modo suo, come faceva a scuola quando dall’ultimo banco,<br />
dove una maestra eternamente corrucciata aveva relegato lui<br />
e me, si alzava, e senza essere chiamato ripeteva a dispetto<br />
una sua lezione che sbalordiva tutti. Contraddiceva la maestra<br />
e il libro e inventava altri dati, altri luoghi, altri personaggi,<br />
e tutto appariva verosimile, perfino i «dove», i «quando»,<br />
i «perché» che gli chiedevano gli altri ragazzi trascinati<br />
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