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lei per i sentieri del suo incontenibile piacere, che gridava<br />
mentre mi stringeva furiosamente a sé. Avevo sentito uno<br />
schianto dentro, come se mi fosse scoppiata la vita; poi lo<br />
stupore per un seme piccolo come una lacrima aveva fatto<br />
gridare anche me, e con le mani aprivo altre frane nella<br />
montagna che mi iniziava alla conoscenza.<br />
Mi ridestò un urlo accompagnato da pianti. Vicino alla<br />
cisterna donne scarmigliate chiamavano il bambino che,<br />
scivolando sui chicchi del grano sparso sul pavimento del<br />
camerone, era precipitato dentro la cisterna, dalla quale proveniva<br />
il pauroso gorgoglio dell’acqua che continuava a ribollire.<br />
Accorse Carmína, e facendosi largo fra le donne che<br />
si disperavano picchiandosi il petto con i pugni saltò dentro<br />
la cisterna senza esitare. Feci appena in tempo a vedere il<br />
suo viso per l’ultima volta, ancora più bello nell’estremo<br />
pallore in cui si era raccolto. Al tonfo della caduta seguì un<br />
silenzio più lacerante di un urlo. L’acqua non scorreva più,<br />
qualcuno aveva chiuso la saracinesca del tubo di scarico.<br />
Sopraggiunse Baboreddu con la scaletta di servizio che infilò<br />
dentro la cisterna. Carmína, con le carni straziate, immersa<br />
fino alla vita nei gorghi dell’acqua e dei vapori bollenti,<br />
stringeva il bambino fra le braccia, già morto.<br />
– Non guardare, – mi gridò mia madre strappandomi a<br />
forza. Chiamai disperatamente Carmína, e mentre mi portavano<br />
via dicevo piangendo che non volevo più crescere.<br />
26<br />
V<br />
Dal vortice della memoria mi richiamò Saverio, il mediatore<br />
della casa di <strong>Erthole</strong>.<br />
– Ti ho cercato come Nobile al Polo… – disse ripetendo<br />
i versi di un vecchio rimatore. Appariva sorpreso, preoccupato,<br />
come se in me scorgesse i sintomi di un malessere. Ero<br />
seduto su un sasso, di fronte a su Dominariu o a quello che<br />
di esso restava: un ammasso di rovine attorno ad una bizzarra<br />
costruzione, la cappella votiva per una grazia ricevuta, come<br />
poi mi spiegarono.<br />
– Hai una faccia…<br />
– Guardavo.<br />
– Solo memorie di morti ci sono.<br />
– Cercavo la mia casa… qualcosa mi ha fermato qui.<br />
– Neanche un segno è rimasto, ci sono i palazzi lì, ora.<br />
Andiamo via.<br />
Era ancora giorno, ma dal monte scendeva l’aria fredda<br />
della sera. La sentivo dentro le ossa, come un dolore sordo.<br />
Pareva che nel paese fosse mutato anche il colore delle stagioni.<br />
Altro tepore aveva aprile, un tempo, altri assalti e altri<br />
trasalimenti dava. Ma l’accoramento nasceva dalla pietrificazione<br />
dei ricordi che mi pesavano dentro.<br />
– Le ragazze mi dicevano che vuoi vedere il paese.<br />
– Torniamo da loro, non ho più voglia di niente.<br />
Saverio tacque. Ogni tanto mi guardava: non capiva, o<br />
forse aveva già capito tutto. Era un abile mercante e conosceva<br />
gli uomini. Mi condusse per altre strade, cercando<br />
qualcosa che mi scuotesse.<br />
– C’era la casa di Cancaritu, lì, – dissi indicando alcune<br />
strane costruzioni in corsa a chi poteva alzarsi di più; porte<br />
e finestre si affacciavano su lati opposti.<br />
– Ci sono i figli ora, in lite fra loro.<br />
Cancaritu, vecchio e saggio, sapeva dare un consiglio<br />
all’amico e offriva la sua casa agli ospiti; i figli l’ascoltavano,<br />
allora, e Dionedda, la più giovane, non usciva di sera.<br />
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