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icco di creatività nel tempo in cui, ragazzo, speravo di entrare<br />
nel cerchio che sospingeva tutto; quante emozioni alle<br />
nevicate, quando attendevo infreddolito, davanti alla finestra<br />
della mia povera casa, il passaggio delle greggi in transumanza<br />
verso la vallata. Al suono del campanaccio, che giungeva<br />
chiaro nel silenzio della notte, accorrevo trepidante. I pastori,<br />
intabarrati nei loro gabbani neri, andavano avanti e indietro<br />
incitando le pecore intormentite dal freddo e dalla fame.<br />
La notte si riempiva delle loro voci che pareva potessero placare<br />
le bufere. Quando anche l’ultimo suono si spegneva,<br />
tornavo a letto rattristato e fantasticavo sui giganti che andavano<br />
per spazi irreali reggendo un mondo dal quale mi sentivo<br />
escluso.<br />
I pastori, allora, rientravano in paese una volta ogni tanto.<br />
Apparizioni fugaci, mai prevedibili, come i voli dei rapaci.<br />
– Sto andando… pro su cambiu, – dicevano a chi restava,<br />
incamminandosi svelti con gli occhi affridados 18 rivolti<br />
verso un punto lontano, al di là dei monti. L’abito logoro,<br />
intriso degli umori di uomini e bestie, era solo un segno<br />
esteriore dell’urgenza che spingeva a quelle discese.<br />
– Come siete…? – chiedevano appena superato su liminarju<br />
della casa, contenendo a stento l’emozione che traspariva<br />
dalla voce incerta. Il saluto racchiuso in quella domanda<br />
era rivolto alla donna, che diceva nel lampo di uno sguardo<br />
lo sfinimento delle sue attese.<br />
Stare col gregge per necessità in ogni stagione; amarlo<br />
anche al di là del bisogno che spingeva a qualsiasi rinunzia<br />
poteva apparire una condanna, una maledizione; ma il gregge<br />
era principio e fine di un altro modo di pensare e sentire.<br />
In quei silenzi rotti appena da una nenia, da un fischio o da<br />
un belato, l’infinita potenza della fantasia ricreava le grandezze<br />
e le miserie del mondo, senza mai staccarsi dalla durezza<br />
delle cose.<br />
Ciò che non poteva trovare appagamento era la separazione<br />
dalla donna, pensata sola nella malinconia della casa lontana.<br />
Era un continuo ricordare il piacere dell’ultimo incontro.<br />
Tutto richiamava le parole dette al momento del distacco e i<br />
18. Allucinati.<br />
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gesti e gli sguardi i cui significati, in quel fantasticare, portavano<br />
quasi al delirio. La domanda di lei, ripetuta più volte,<br />
quasi potesse dare sollievo quello sconsolato «quando?», rendeva<br />
l’attesa del ritorno più dolorosa.<br />
Errare di notte per monti e valli fino a fiaccare ogni resistenza;<br />
ammansire puledre che parevano indomabili, cavalcandole<br />
senza fune; trafugare greggi da plaghe sconosciute,<br />
portando rovina e disperazione… niente valeva a placare i<br />
tumulti dei sensi, che non avevano niente di umano.<br />
– Sto andando… pro su cambiu –. In quel grido soffocato<br />
vi era tutto lo strazio dell’attesa.<br />
Ora i pastori non avevano più fantasia e andavano smarriti<br />
alla ricerca di un altro centro dell’universo. La sera tornavano<br />
in paese e subivano impotenti i fatti, senza poterli pensare.<br />
Le donne non trepidavano più per loro. Anche l’amore<br />
si era ridotto a cosa senz’anima, a ripetuto bisogno di su trastu,<br />
malinconica metafora di rovine…<br />
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