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VI<br />
Le emozioni di <strong>Erthole</strong> le ho vissute sempre come un’esaltazione<br />
della mente, che conduce al fondo delle cose dove si<br />
condensa l’eternità. Quando vi giunsi, provai lo stesso smarrimento<br />
di tanti anni prima, la stessa sofferenza di entrare in<br />
un altro ritmo di pensieri e di sentimenti, la stessa felicità di<br />
sentirmi parte di quel mondo immutato e immutabile, che<br />
pure aveva le sue cadenze.<br />
Era aprile anche allora. Vi ero capitato per caso, abbacinato<br />
dalla bianchezza delle eriche e dei corbezzoli, arsi dai<br />
fuochi di lontane stagioni. Inseguivo quei fusti senza vita,<br />
per comporli in fascine e portarli al sacrificio dell’ultimo rogo,<br />
nel forno dove mia madre, a Pasqua, doveva cuocere per<br />
voto il pane di semola. Non c’era altra legna che bruciasse<br />
così, fiammando senza fumo, con le braci che svanivano<br />
lentamente in cristalli di cenere. La mia fascina cresceva, leggera<br />
come una nuvola, e la fune che mi ero portato non riusciva<br />
a legarla. Avevo bevuto alla fonte e mi ero bagnato la<br />
testa, perché l’acqua aveva le trasparenze del cielo che vi si<br />
specchiava. Nelle mie viscere pareva fosse scesa l’arsura di<br />
quegli steli pietrificati. Sentivo la spossatezza che dava la stagione,<br />
e sdraiato sull’erba cercavo riposo. Il sonno vinceva<br />
l’attesa e mi portava lontano, in un tempo che ancora doveva<br />
venire. Passavano le stagioni e gli eventi, e io con loro,<br />
ma non mi riconoscevo e chiamavo, andando a tentoni, come<br />
un cieco che ha smarrito la strada…<br />
Solo a sera ero tornato a casa, con la fascina sulle spalle<br />
e un viso stravolto che aveva spaventato mia madre. Parlavo<br />
confusamente, di luoghi sconosciuti e di persone mai viste.<br />
Forse avevo la febbre e deliravo. Era accorsa zia Peppa, che<br />
curava i mali, e m’avevano lasciato solo con lei nella stanza<br />
da letto. Era scesa la notte.<br />
– Dove sei stato?<br />
– Ho bevuto alla fonte di <strong>Erthole</strong>.<br />
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In piedi, con le braccia conserte, aveva scosso più volte<br />
la testa. Nella stanza buia la vedevo appena, ma continuavo<br />
a parlare: raccontavo il mio sogno, confondendomi spesso.<br />
Zia Peppa conosceva la mia natura, m’aveva guarito altre<br />
volte. Ma ora stentava a trovare un rimedio.<br />
– S’abb’e s’assustru 6 – aveva detto alla fine, fugando ogni<br />
dubbio. Mia madre era accorsa con una candela accesa e<br />
aveva cercato di opporsi. Diceva ch’ero soltanto iscalentàdu,<br />
c’entrava la fatica e il digiuno. Temeva che la gente sapesse<br />
che avevo bevuto alla fonte di <strong>Erthole</strong>.<br />
Zia Peppa appariva più alta nella stanza illuminata. Dicevano<br />
fosse bella, ma nessuno parlava del marito. Aveva l’età<br />
dei saggi e lo sguardo dei veggenti; io davanti a lei ero sempre<br />
impaurito.<br />
– S’abb’e s’assustru… – aveva ripetuto, tastandomi la<br />
fronte con la mano. Dovevamo ascoltarla, perché io le dovevo<br />
la vita. Ero nato già morto, con mia madre sfinita dal travaglio<br />
del parto. Anche allora zia Peppa era venuta e m’aveva<br />
sollevato dalla pelle di capra sulla quale giacevo, illividito dal<br />
cordone che mi stringeva la gola. La levatrice era scappata e<br />
zia Peppa m’aveva fatto piangere picchiandomi forte. Mia<br />
madre era stanca e gridava tenendosi il povero grembo svuotato,<br />
che doleva.<br />
Zia Peppa era tornata con l’ampolla dell’acqua che veniva<br />
da una fonte sconosciuta, e mia madre aveva portato<br />
nella stanza da letto dei carboni accesi e un bicchiere.<br />
– Lasciaci ora.<br />
Ero rimasto solo con la mia guaritrice, che aveva versato<br />
l’acqua dell’ampolla nel bicchiere, spegnendovi uno dopo<br />
l’altro tre carboni. A ogni tonfo diceva parole incomprensibili,<br />
mentre col pollice della mano destra mi segnava la<br />
fronte, il collo e i polsi. M’aveva fatto bere tre sorsi di quell’acqua<br />
già nera e m’aveva detto che tutto era passato. I carboni<br />
però dovevo gettarli all’alba, senza essere scorto da anima<br />
viva. Così avevo fatto l’indomani, correndo nelle strade<br />
6. L’acqua dello spavento.<br />
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