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nioni, ma ne vieta l’esercizio anomalo, ossia l’abuso, che viene ad esistenza ove risultino lesi altri valori non meno rilevanti, come quelli desumibili dagli artt. 101 e 104 Cost., secondo cui i magistrati debbono essere imparziali ed indipendenti, e ciò non solo con specifico riferimento al corretto esercizio delle funzioni giurisdizionali, ma anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento, al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialità nell’adempimento del proprio compito” (Cass. civ. Sez. U., sent. 26.10.98, n. 10618). La liceità dell’esercizio del diritto di manifestazione del pensiero può essere ravvisata soltanto in presenza della condizione di correttezza dell’espressione, intesa sia come correttezza formale, sia come limite sostanziale, individuabile in ciò che è strettamente necessario per soddisfare l’interesse sociale al quale la considerata manifestazione è finalizzata (Cass. civ. Sez. U., sent. 22.12.03, n. 19659, rv. 569141). Riepilogando: anche ai magistrati spetta il diritto di manifestare liberamente le proprie opinioni politiche, ma tale diritto, ai fini discipli- 17 La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Ordinamento Giudiziario
La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Ordinamento Giudiziario Nuovo Ordinamento Giudiziario e Libertà di Manifestazione del Pensiero: due Mondi Lontani? nari, va raccordato con i concorrenti valori tutelati dagli artt. 101 e 104 Cost., che, nell’assicurare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, consentono di imporre ai soggetti che appartengono all’Ordine Giudiziario di astenersi da condotte che possano in concreto ledere il prestigio dell’intero Ordine Giudiziario. 4. I magistrati e l’attività politica. Nessuna norma vieta ai magistrati di professare la propria fede politica: l’art. 98, 3° co., della Costituzione ammette che si possano , ma la previsione non è stata fino ad oggi attuata. Ed anzi, al contrario, il divieto di professare pubblicamente la propria fede politica, in precedenza imposto al personale della magistratura e degli uffici giudiziari, fu abolito (ancor prima dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana) dall’allora Ministro della Giustizia con circolare del 6 giugno 1944 n. 285, confermata con circolare del 18 agosto 1945. Si ritenne, in particolare, che la partecipazione alla vita politica fosse un dovere civico, e che “sarebbe per i funzionari dell’Ordine Giudiziario un privilegio odioso il contrastare loro l’adempimento di questo dovere, limitando a priori nei loro riguardi l’esercizio dei diritti politici al semplice atto del dare il voto nelle elezioni”; con 18 specifico riferimento all’esigenza di tutelare l’indipendenza della magistratura, si osservò, inoltre, che “se moventi diversi da quelli del compimento del dovere dovessero influire sulle pronunzie dei magistrati italiani, non basterebbe impedire loro l’iscrizione ai partiti perché, dentro e fuori di questi, il giudice non potrebbe non avere le sue opinioni e relazioni, tanto più efficaci quanto più nascoste”. 5. Le restrizioni previste dalla legge delega n. 150 del 2005 sono legittime costituzionalmente? Le restrizioni al diritto di critica giudiziaria, e più genericamente di rendere tout court dichiarazioni su procedimenti in corso di trattazione, vietano anche condotte di per sé non prive di , non prive di o di , né altrimenti offensive (perché, ad es., lesive del segreto d’ufficio, ovvero atte ad influire sull’esito del procedimento, od infine ad arrecare indebitamente danno o vantaggio ad una delle parti), risolvendosi in una mera, e perciò inammissibile, restrizione del diritto di manifestare liberamente, con continenza, il proprio pensiero, sia in generale che, specificamente, in sede di critica giudiziaria, che, come si è visto in precedenza, è limitabile soltanto a vantaggio di beni-interessi concorrenti, e di pari rilevanza. La disposizione di cui all’art. 2
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