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Quaderno CEI n 24-08 - Chiesa Cattolica Italiana

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3.<br />

La prismaticità<br />

della fede e la sua<br />

valenza conoscitiva<br />

e culturale<br />

87<br />

prie della razionalità filosofica (giustificando ampiamente il correlato<br />

sintagma della “filosofia cristiana”) sia in quella della razionalità<br />

teologica.<br />

Mi sembra infine interessante sottolineare come questa prospettiva<br />

consenta di smascherare il falso dilemma, messo in atto<br />

anche in alcune recenti-sedicenti teologie, tendente a porre in alternativa<br />

verità e carità. A questo proposito vale la pena richiamare, in<br />

quanto descritto come punto focale della fede cristiana, un passaggio<br />

dell’omelia pro eligendo Pontifice, nella quale l’allora, ancora per<br />

poco, cardinale J. Ratzinger così si esprimeva: “Ed è questa fede –<br />

solo la fede – che crea unità e si realizza nella carità. San Paolo ci<br />

offre a questo proposito – in contrasto con le continue peripezie di<br />

coloro che sono come fanciulli sballottati dalle onde – una bella parola:<br />

fare la verità nella carità, come formula fondamentale dell’esistenza<br />

cristiana. In Cristo, coincidono verità e carità. Nella misura<br />

in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità<br />

si fondono. La carità senza verità sarebbe cieca; la verità senza<br />

carità sarebbe come «un cembalo che tintinna» (1 Cor 13, 1)”. Se<br />

questa in coincidenza consiste la formula fondamentale della fede<br />

cristiana, come essa non potrebbe valere a configurare il sapere che<br />

dalla fede si origina?<br />

Se finora l’orizzonte della ragione ha occupato prevalentemente<br />

la nostra riflessione, non possiamo non occuparci dell’atto di<br />

fede e della sua struttura, a mio avviso prismatica e tale da costituire<br />

in profondità l’unità tridimensionale della persona secondo tre<br />

suoi aspetti costitutivi: quello affettivo, quello della volontà libera e<br />

quello conoscitivo.<br />

a) La “struttura affettiva” dell’atto di fede<br />

Un’attitudine molto diffusa nelle interpretazioni teologiche<br />

più recenti dell’atto di fede teologale è quella che tende a situarlo<br />

nell’ambito dell’affettività o della sfera dei sentimenti, incrociando<br />

in tal modo, e al tempo stesso tentando di superarla, la tendenza<br />

della cosiddetta “religione postmoderna” ad esprimersi piuttosto sul<br />

piano emozionale, che non su quelli della conoscenza e dell’etica.<br />

Quella che in letteratura si definisce “struttura affettiva della fede”<br />

risulta generarsi da una profonda critica alla ragione moderna, pensata<br />

come ragione separata e/o comunque critica nei confronti del<br />

credere. Si tratta da un lato di un analogo storico della reazione romantica<br />

all’età dei Lumi e contestualmente, anche se spesso inconsapevolmente,<br />

di una sorta di ricupero della “religione come sentimento”<br />

di F. Schleiermacher, d’altra parte dell’assunzione, anche<br />

qui non sappiamo con quanta consapevolezza, di una prospettiva<br />

5° CONVEGNO DEI CAPPELLANI E DEI RESPONSABILI DIOCESANI

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