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Quaderno CEI n 24-08 - Chiesa Cattolica Italiana

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Riflessioni<br />

conclusive<br />

92<br />

nelle quali si coglie con grande pregnanza la valenza etica della<br />

fede, sembra in agguato la deriva irrazionalistica di un credere tanto<br />

ostinato da rifiutarsi di esibire le proprie ragioni, data l’irriducibilità<br />

della decisione alla sfera noetica. Ma, scavando ancor più in profondità,<br />

resta da sottolineare la radicale differenza fra la consegna-traditio<br />

cristologica e il sacrificio dell’eroe tragico al “generale” o<br />

“sovra-individuale” universo valoriale, di fronte al quale non può<br />

che consapevolmente soccombere. Insomma, e per concludere queste<br />

riflessioni, anche quello etico non è che uno stadio dell’esistenza<br />

credente, che ad esso non si lascia ridurre e da esso non si lascia<br />

catturare, pur includendolo ed inverandolo.<br />

c) Fede come conoscenza, fede e ragione<br />

La tendenza piuttosto classica e tradizionale a individuare il<br />

luogo del credere nella sfera conoscitiva, lungi dal metterne in<br />

ombra la dimensione etica, se si tiene conto del carattere ontologico<br />

del nesso verità-libertà, costituisce tuttavia un terzo possibile<br />

tentativo di interpretazione, che le precedenti prospettive tendono a<br />

relativizzare e/o ad includere. Una koinè culturale, nella quale il<br />

grande nemico sembra l’intellettualismo piuttosto che l’irrazionalismo,<br />

non può che emarginare e negare questa prospettiva, propria<br />

del credere, alimentando piuttosto, anche attraverso una certa attenzione<br />

mediatica ed intraecclesiale, le teologie dell’affettività e<br />

della deliberazione vitale e trascurando, con grande gioia di quanti<br />

hanno grande<br />

Una concezione prismatica dell’atto di fede sembra imporsi,<br />

onde tener conto della complessità del credere e del soggetto chiamato<br />

a vivere ed esprimere la fede stessa, secondo le tre dimensioni<br />

della persona, che nella fede sono chiamate ad interagire e, come<br />

si dice oggi interfacciarsi: conoscenza, affettività, volontà. E la metafora<br />

del prisma indica anche che esse possono diversamente strutturarsi<br />

ed articolarsi, tenendo conto dell’impossibilità, per un atto<br />

che vuol coinvolgere tutta la persona, di eludere qualcuna delle suddette<br />

dimensioni. Ritenere, infatti, che la fede sia un atto personale,<br />

cioè un atto della persona, non significa affermare che esso sia<br />

un atto individuale. E neppure che esso designi soltanto un insieme<br />

di relazioni, perché sappiamo – e la cultura personalista penso ci<br />

appartenga – che la persona è insieme soggetto e relazione (Tommaso<br />

a questo riguardo ha dovuto ricorrere al paradosso della relatio<br />

subsistens).<br />

Uno dei passaggi teoreticamente più rilevanti dell’ultima enciclica,<br />

ci offre uno strumento categoriale e culturale di profondo rilievo,<br />

proprio in ordine al rapporto fra fede / ragione / forme di ra-<br />

5° CONVEGNO DEI CAPPELLANI E DEI RESPONSABILI DIOCESANI

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